“Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono
tendere alla rieducazione del condannato.” Così recita la Costituzione italiana. Ma
quanto, in realtà, l'esecuzione penale riesce oggi ad attuare questi fondamentali
principi? Quanta sofferenza aggiungono alla giusta limitazione della libertà, ad esempio,
le condizioni di vita in un carcere sovraffollato? Di tutto questo si è parlato al
convegno: “I diritti dei detenuti e la Costituzione” tenuto nei giorni scorsi a Roma
per iniziativa del Seat, il Coordinamento enti e associazioni di volontariato penitenziario.
Sulle preoccupazioni e le proposte emerse Adriana Masotti ha intervistato Elisabetta
Laganà, presidente del Coordinamento:
R. – In
un momento in cui i concetti tipo “tolleranza zero”, “carcere per tutto e per tutti”
sembrano essere all’ordine del giorno, noi abbiamo voluto esprimere la nostra voce
in controtendenza che non è una negazione dei reati, perchè nessuno dice: “Non ci
deve essere la pena”, piuttosto noi vogliamo discutere sulla modalità di dare risposta.
D.
– I diritti dei detenuti, quindi, quali sono? Gli esempi che ci può fare di mancato
rispetto di questi diritti?
R. – E’ chiaro che già
il sovraffollamento è una lesione del diritto a cui seguono il diritto alla salute,
il diritto anche a ricevere ciò di cui il detenuto ha bisogno, partendo proprio da
cose molto semplici che sono il sapone necessario per pulire la cella, il vestiario,
un vitto decente: sono pochissimi gli euro destinati all’alimentazione. Quindi, tutti
questi aspetti concorrono al fatto che la carcerazione non solo sia la privazione
della libertà come dovrebbe essere, esiste il di più che ha a che fare con l’organizzazione
penitenziaria in sé.
D. – Si discute, in questo periodo,
di una misura nuova: la messa in prova di lavori socialmente utili, da fare in alternativa
alla pena carceraria. Voi come vedete queste proposte?
R.
– Noi sosteniamo ed apprezziamo questa linea. E’ davvero una proposta coraggiosa per
sperimentare forme diverse dalla carcerazione.
D.
– Si diceva il sovraffollamento. Qualcuno propone la creazione di nuovi istituti,
altri dicono che, a causare questo sovraffollamento, è la forte presenza di detenuti
extra-comunitari, quindi propongono l’espulsione nei loro confronti. Su questo, lei,
che cosa può dire?
R. – Gli accordi, con i Paesi
da cui provengono i soggetti extra-comunitari, sono troppo pochi, attualmente, per
ritenere questa misura come una misura efficace per deflazionare gli istituti e il
dipartimento lo sa. Sul discorso delle nuove carceri, è un problema grossissimo, nel
senso che, per costruire un nuovo carcere, ci vogliono molti anni. Il dipartimento
diceva che forse, nel prossimo anno, saranno disponibili poco più di due mila posti
in più. Considerando che, nel ritmo delle carcerazioni si va tra le 1000-1200 unità
al mese, è chiaro che quando saranno liberi questi posti, saremo già ad un livello
altissimo.
D. – Forse, è opinione abbastanza diffusa
che in carcere, tutto sommato, si sta anche bene. Quindi si conosce poco, c’è troppa
separazione, diciamo, tra il fuori e il dentro?
R. –
Sono dei pregiudizi. Parlavo con una collega che lavora con degli studenti e loro
avevano espresso una posizione, appunto, come un po’ quella del sentire comune: “tutto
sommato non si sta male”. Li ha portati in giro per un carcere e quando sono usciti,
avevano cambiato idea.