Storica firma ad Olslo della Convenzione contro le cluster bomb: il commento di mons.
Tomasi
Almeno un centinaio di Paesi sono rappresentati oggi a Oslo, in Norvegia, per la firma
della Convenzione che vieta l’utilizzo, la produzione, il trasferimento e lo stoccaggio
delle bombe a grappolo, dopo l’approvazione del testo avvenuta il 30 maggio a Dublino.
Anche la Santa Sede ha ratificato la Convenzione. Presente alla cerimonia il segretario
vaticano per i Rapporti con gli Stati, l'arcivescovo Dominique Mamberti: il presule,
nel suo discorso, ha sottolineato che "l'edificio della pace è ora più saldo", anche
se nel mondo "le spese militari sono purtroppo in allarmante aumento". "Questa Convenzione
- ha detto - è l'espressione di una volontà politica comune di rispondere concretamente
a problemi particolari mediante il rafforzamento del diritto umanitario internazionale".
"Una sicurezza credibile - ha aggiunto - è non solo possibile, ma anche e soprattutto
efficace quando è basata sulla cooperazione, sulla costruzione della fiducia e su
un ordine internazionale giusto. Un ordine fondato sull'equilibrio della forza è fragile,
instabile e fonte di conflitti". Mons. Mamberti ha lanciato quindi "un appello a tutti
i Paesi, in particolare a quelli produttori, esportatori e utilizzatori potenziali
di munizioni a grappolo, a unirsi ai firmatari di oggi per dire a tutte le vittime
e a tutti i Paesi pesantemente colpiti da queste armi che il loro messaggio è stato
udito". La Conferenza odierna segna il punto di arrivo del cosiddetto “Processo di
Oslo”, un percorso negoziale che prende nome dal primo vertice globale sulle munizioni
a grappolo, svoltasi nella capitale norvegese nel febbraio 2007. Ma si può parlare
di un segnale di compattezza del mondo nei confronti di queste terribili armi? Salvatore
Sabatino lo ha chiesto a mons. Silvano Maria Tomasi, osservatore permanente
della Santa Sede presso l’Ufficio Onu di Ginevra:
R. – L’opinione
pubblica internazionale si è trovata compatta a rispondere alla sofferenza delle vittime
di queste bombe, che hanno lasciato una traccia da tanti anni in vari Paesi del mondo,
e continuano a fare vittime ogni giorno. Mancano alcuni dei grandi Paesi produttori
e utilizzatori di queste armi, però questo non scoraggia certamente la grande maggioranza
dei Paesi del mondo che sono presenti qui, a Oslo, per firmare e alcuni anche per
ratificare immediatamente questa nuova Convenzione.
D.
– Tra i Paesi che mancano all’appello ci sono gli Stati Uniti, la Russia, la Cina,
Israele, India … C’è la possibilità, secondo lei, di un’inversione di tendenza dopo
la firma di oggi?
R. – Io penso che, come risultato
di questa massiccia presa di posizione della grande maggioranza degli Stati del mondo,
ci sia una certa pressione morale verso i Paesi menzionati, perché magari attraverso
lo strumento della Conferenza per il disarmo delle Nazioni Unite, eventualmente si
possa arrivare se non ad un protocollo obbligatorio come quello attuale, firmato qui
a Oslo, almeno a qualcosa di simile che porti in maniera progressiva ad una eliminazione,
anche in questi Paesi, dell’uso di queste bombe a grappolo.
D.
– Altro aspetto interessante è che per questa Convenzione è prevista la firma di pressocchè
tutti i Paesi africani. Questo che cosa vuol dire, per questo continente?
R.
– L’Africa è stata rappresentata dallo Zambia, anche se altri Paesi dell’Africa sono
presenti e firmano oggi. La volontà è di eliminare dal continente questo strumento
di morte, perché la preoccupazione principale che si è voluta mettere in luce attraverso
questa Convenzione è l’attenzione alle vittime: non soltanto le vittime che direttamente
vengono uccise, ma la famiglia, la comunità; fare in modo che l’assenza di queste
bombe a grappolo possa permettere uno sviluppo più efficace nei vari Paesi. Per l’Africa
questo è molto importante, ma soprattutto credo che sia importante per Paesi come
la Cambogia, il Laos, il Vietnam, dove da 40 anni e più sul terreno vedono la presenza
milioni di questi ordigni che continuano a fare vittime anche oggi. Non voglio, inoltre,
dimenticare neppure il Libano del Sud, che continua a convivere con questo problema
dopo l’ultimo conflitto con Israele.
D. – La Santa
Sede si è impegnata fortemente per il raggiungimento di questo risultato...
R.
– Il ruolo della Santa Sede è stato molto attivo, perché abbiamo voluto veramente
far capire che questo nuovo capitolo della legge umanitaria può aprire la porta anzitutto
alla speranza: in primo luogo, per le vittime, e in secondo luogo, questo gesto e
questa Convenzione, che diventerà obbligatoria speriamo in breve tempo, spero possa
essere il simbolo che anche nel difficile cammino del disarmo nucleare e di altre
forme di disarmo, come il mercato delle armi di piccolo calibro, è possibile raggiungere
delle conclusioni positive, nonostante pessimismi iniziali che potrebbero bloccare
il dialogo e lo sforzo dei Paesi a negoziare. E infine, mi pare che siamo riusciti
a mettere fuori gioco l’uso di una gran parte di questi strumenti di sofferenza, di
morte, e bloccare la strada allo sviluppo e all’utilizzo di queste bombe a grappolo,
specialmente nelle zone dove vengono colpiti i civili, in modo da mantenere chiara
la distinzione tra combattenti e civili, anche se naturalmente l’obiettivo finale
è di mantenere la pace e quindi evitare che sia soldati, sia civili vengano in qualche
modo feriti o uccisi da questi conflitti che continuano ad esplodere.