Giornata internazionale delle persone con disabilità: interviste con Beccegato e D'Agostino
Sul tema “Dignità e giustizia per tutti noi” si celebra oggi la “Giornata internazionale
delle persone disabili” promossa dall’ONU. Il servizio di Claudia Di Lorenzi:
Sono 650
milioni i disabili nel mondo, circa il 10 per cento della popolazione globale, in
molti casi privati di un pari riconoscimento davanti alla legge, della libertà di
espressione e d’opinione, dell’esercizio del voto e di altre forme di partecipazione
alla vita politica e pubblica. “Oltre l’80% - sottolinea il segretario generale dell’ONU
Ban Ki-moon - vive nei Paesi poveri” ed è per questo che è necessario aumentare gli
sforzi “per spezzare il cerchio della povertà e della disabilità” e insieme per promuovere
l’integrazione dei disabili, unico antidoto all’emarginazione. Ma quali problematiche
affrontano oggi i disabili nel mondo? Lo spiega Paolo Beccegato,
di Caritas Italia:
R. - Da noi ci sono problemi per
quanto riguarda ad esempio l’accesso ai luoghi, la ricerca e le cause di alcune disabilità.
Però, certamente, se guardiamo ai Paesi dell’est o del sud del mondo, i problemi sono
nettamente più marcati. Nell’est il tema fortissimo è quello della de-istituzionalizzazione,
che è un tema molto delicato, che comprende sia il tema delle politiche che il tema
della concezione stessa della malattia. Nel sud, sebbene la rete familiare abbia una
tenuta forte, spesso però mancano sia le istruzioni di base per la prevenzione, per
la cura, sia strutture, sia in alcuni casi ci sono fenomeni di esclusione sociale
fortissimi, che arrivano appunto a situazioni estreme, dove addirittura il malato
viene rinchiuso, incatenato e così via.
D . - Come
contrastare l’emarginazione e favorire il rispetto dei loro diritti?
R.
– Il primo passo è un passo culturale che non crei esclusione nelle menti e poi, di
conseguenza, scelte politiche e scelte diffuse per una maggiore tutela.
Nel
maggio scorso è entrata in vigore la Convenzione Onu sui diritti delle persone con
disabilità. La Santa Sede pur appoggiando nel suo insieme la Convenzione non l’ha
firmata a causa di un articolo che potrebbe prevedere l’aborto dei feti di potenziali
disabili. Ce ne parla Sergio Centofanti.
In una intervista
rilasciata alla nostra emittente il 14 dicembre di due anni fa mons. Celestino Migliore,
rappresentante vaticano presso l’Onu, spiegava i motivi per cui la Santa Sede non
poteva firmare la Convenzione: “E’ tragico – affermava - che … la Convenzione creata
per proteggere le persone con disabilità da ogni discriminazione nell’esercizio dei
loro diritti può essere usata per negare il basilare diritto alla vita di persone
disabili non nate”. Ascoltiamo in proposito il prof. Francesco D’Agostino,
presidente dei Giuristi cattolici e presidente onorario del Comitato nazionale di
bioetica:
R. – Il problema è che attraverso delle
dichiarazioni internazionali, ragionevolissime nella loro finalità, si cerca di introdurre
una nuova categoria di diritti – assolutamente discutibili e in certi casi obiettivamente
riprovevoli. Una cosa è garantire i diritti degli handicappati come quelli di tutti
i cittadini; altra cosa è, per prevenire l’handicap, invece di adottare strategie
terapeutiche quella di sopprimere eugeneticamente, prima della nascita, i feti portatori
di handicap. In questo senso, l’opinione pubblica non è stata informata e non ha capito
che, attraverso la pur nobile proclamazione dei diritti degli handicappati, si sta
cercando di introdurre – o già si è introdotta – una legittimazione della eutanasia
eugenetica prenatale.
D. – C’è stata disinformazione
su un equivalente no del Vaticano: il no alla proposta francese di depenalizzazione
dell’omosessualità: la Chiesa – occorre ribadire con chiarezza - sostiene la depenalizzazione
dell’omosessualità – ma è contro l’intenzione di porre sullo stesso piano ogni orientamento
sessuale…
R. – Il discorso è assolutamente analogo.
Nei limiti in cui la pratica omosessuale avviene tra adulti consenzienti, non può
avere alcun divieto giuridico: è semplicemente una pratica lecita. Ma se per giustificare
la condanna di ogni criminalizzazione dell’omosessualità, su cui siamo tutti d’accordo,
si deve fare assurgere il comportamento omosessuale ad un comportamento meritevole
di tutela alla stregua di tutti quei comportamenti che realizzano diritti umani fondamentali,
noi ci troviamo di fronte ad una vera e propria alterazione del concetto di diritti
umani, che va denunciata e con la quale non ci si può compromettere.
D.
– La proposta potrebbe portare a ritenere una violazione dei diritti umani il fatto
di considerare, per esempio, il matrimonio fra un uomo e una donna la forma fondamentale
e originaria della vita sociale e come tale da privilegiare…
R.
– Certo: perché se si parte dall’idea che non ci sia una sessualità oggettivamente
radicata in natura ma che le scelte sessuali siano scelte soggettive e arbitrarie,
insindacabili legalmente e addirittura meritevoli di tutela giuridica, se cioè si
aderisce alla cosiddetta “teoria del genere”, abolendo il riferimento alla sessualità
biologica, destrutturiamo l’immagine dell’Uomo che invece abbiamo il dovere di custodire
e di difendere. La dichiarazione francese, originariamente era stata formulata in
tre sintetici e impeccabili articoli; lentamente, si è gonfiata fino a diventare di
13 articoli, all’interno dei quali si sono introdotte queste pretese di riconoscimenti
a livello di diritti fondamentali dell’omosessualità, che non hanno consistenza antropologica.
D.
– Alla vigilia del 60.mo anniversario della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo,
come sta cambiando la visione dei diritti umani?
R.
– Bisogna sempre essere ottimisti e quindi rilevare che la difesa dei diritti dell’Uomo
è una forza positiva e operante in tutti i Paesi del mondo di oggi. Ma non possiamo
neanche essere ciechi e non prendere atto che da molto tempo c’è il tentativo di strumentalizzare
la categoria dei diritti umani per interpretarli non come il doveroso riconoscimento
che ogni persona umana ha una dignità fondamentale e inviolabile, ma per ottenere
il riconoscimento che ogni pretesa soggettiva, libertaria, individuale meriterebbe
di essere tutelata dal diritto. Ebbene, su questo fronte bisogna attivare un confronto
culturale: riconoscere i diritti non significa riconoscere l’arbitrio soggettivo e
santificarlo.