Nel mese di dicembre, il Papa prega perché i cristiani nei Paesi di missione mostrino
con gesti di solidarietà la Speranza portata da Gesù Bambino
“Perché i cristiani, soprattutto nei Paesi di missione, attraverso concreti gesti
di fraternità, mostrino che il Bambino nato nella grotta di Betlemme è la luminosa
Speranza del mondo”: è l’intenzione di preghiera missionaria di Benedetto XVI per
il mese di dicembre. Su questa esortazione del Papa ai fedeli, Alessandro Gisotti
ha raccolto la riflessione di mons. Giovanni Battista Gandolfo, responsabile
del
R. - Sono
particolarmente indovinate le parole dell’intenzione del Santo Padre perché, effettivamente,
sottolineano che cos’è veramente la carità, lo spirito di solidarietà che noi viviamo
soprattutto in relazione con i Paesi del Terzo Mondo. Rimanere nella carità, praticamente,
significa rimanere nella vita di Cristo, poiché questo è il fondamento dell’esperienza
cristiana e della condizione spirituale, di familiarità e di confidenza, che esiste
tra l’uomo e il Signore. E’ attraverso la carità che noi esercitiamo non soltanto
il mandato dell’annuncio, ma soprattutto la testimonianza come segno di evangelizzazione.
E mi pare che sia da sottolineare proprio la necessità di questa testimonianza per
quanto riguarda anche questi Paesi di missione. D. - “Dio è amore” ci dice
San Giovanni, e Papa Benedetto ce lo ricorda con la sua prima Enciclica. Proprio questo
amore disinteressato, testimoniato con coraggio, spesso concretamente dai cristiani,
conquista i cuori anche di chi è lontano dal Vangelo…
R.
- Certamente, perché l’annuncio di Cristo che è amore deriva direttamente da Gesù
Cristo. D’altra parte, vivere la carità, significa crescere, maturare, il rapporto
con Cristo perché la carità è testimoniata, cioè segno visibile di quell’azione che
Cristo ha svolto in prima persona duemila anni or sono e che tutt’ora svolge nella
storia, attraverso la Chiesa che annuncia la Parola di Dio. La carità resta sempre
uno dei segni più efficaci dell’opera del Cristo e, conseguentemente, apre anche a
quella speranza in Cristo Risorto che dà senso oggi a tutta l’esperienza cristiana
dell’uomo.
D. - Eppure, a volte, questa carità vissuta
dai cristiani, nei Paesi di missione, si scontra con i pregiudizi, perfino con le
violenze: basti pensare allo Stato indiano dell’Orissa, per guardare alla stretta
attualità. La Croce, dunque, è sempre segno di contraddizione?
R.
- Senza dubbio, non potrebbe essere diversamente perché Gesù Cristo stesso si è dichiarato
segno di contraddizione nel momento in cui si è incarnato e vediamo che, in questi
Paesi, tante volte si sperimenta ancora il martirio da parte di credenti, proprio
perché questa sfaccettatura del martirio diventa l’espressione del Cristo sofferente.
Diventa però anche espressione del Cristo della Risurrezione, perché noi sappiamo
che non è tanto l’attività di solidarietà in se stessa l’elemento che salva, quanto
piuttosto il valore che lega quest’azione a Cristo stesso.