Gli attentati a Mumbai, con più di dieci obiettivi di grande rilievo colpiti in modo
coordinato, oltre cento morti e centinaia di feriti, hanno precipitato l’India e gran
parte del mondo nell’angoscia. La gravità micidiale e l’evidente intenzione di colpire
il cuore di un grande Paese hanno richiamato alla mente l’11 settembre a New York,
poi Madrid, Londra… Le tensioni e i conflitti che agitano da lungo tempo il subcontinente
indiano vengono deliberatamente individuati come punto critico su cui operare per
far divampare un incendio ancora più spaventoso, le cui conseguenze sono difficilmente
immaginabili, date le dimensioni demografiche dell’Asia meridionale e il suo ruolo
nello sviluppo mondiale. La pietà e il dolore per le vittime di questi giorni si intensificano
quindi al pensiero del dolore immenso che insensati e lucidi operatori di odio vogliono
moltiplicare per innumerevoli persone.
Per i credenti la preoccupazione umana
si unisce a quella religiosa. Ricordiamo la tensione antica che portò alla divisione
fra India e Pakistan, ma le persistenti, anzi forse crescenti correnti fondamentaliste
non solo nel mondo islamico, ma anche in quello induista. Pochi anni fa vi fu in India
un’ondata di violenza antimusulmana, recentemente sperimentiamo quella anticristiana
in alcune regioni. In un paese in cui la “minoranza” musulmana è di 140 milioni di
persone, quali possono essere le reazioni a questo attacco che si presenta come di
matrice islamica ?
E’ orribile che nel mondo di oggi la religione si mescoli
con la violenza. Il fondamentalismo è uno dei rischi più drammatici dell’umanità e
sfida la coscienza di ogni uomo religioso. “Non si può usare violenza in nome di Dio”:
il grido di Giovanni Paolo II, i messaggi di Assisi devono continuare a risuonare
il più forte possibile. La causa della pace, la causa dell’uomo è la causa del vero
Dio.