Marcello Pera: Benedetto XVI può aiutare il liberalismo a riscoprire le sue radici
cristiane
E’ in libreria da questa settimana il volume del filosofo Marcello Pera “Perché dobbiamo
dirci cristiani. Il liberalismo, l’Europa, l’etica”, edito da Mondadori. Il saggio
riporta una lettera di Benedetto XVI all’autore, nella quale il Papa sottolinea che
l’essenza del liberalismo è radicata nell’immagine cristiana di Dio. Fin dal titolo,
l’opera dell’ex presidente del Senato italiano richiama alla mente l’affermazione
“Perché non possiamo non dirci cristiani” di un altro grande pensatore liberale, Benedetto
Croce. Da qui, muove la riflessione di Marcello Pera, intervistato da Alessandro
Gisotti:
R. - Croce
considerava il cristianesimo come una fase, un momento, un periodo della storia dello
spirito assoluto, nel quale il cristianesimo - appunto - giocava un ruolo sì fondamentale,
ma che avrebbe potuto essere superato. Anzi, per Croce doveva essere superato da un
altro tipo di religione: quella che lui chiamava “la religione della libertà”. Io
credo che invece ci sia un nesso più stretto, concettuale, tra liberalismo e cristianesimo.
Il liberalismo si fonda su concetti - il primo dei quali è la libertà dell’individuo,
la dignità della persona - che sono concetti tipicamente cristiani. Quindi, il rapporto
è un rapporto di congenerità. D. - Ma perché oggi il liberalismo
è diventato anticristiano, e quali possono essere le conseguenze di questo distacco
dalla sua matrice religiosa, e cristiana in particolare? R.
- Per quanto riguarda l’Europa, in particolare, c’è una spiegazione storica. Molti
liberali si sono trovati spesso in conflitto con la Chiesa cattolica, ed è un fatto
amaro della storia dell’Europa che non si verifica nella storia dell’America. Alcuni
Stati nazionali - l’Italia, la Francia - si sono costituiti proprio come Stati-nazione
con una lotta, con una disputa nei confronti della Chiesa cattolica. Questo ha generato
quello che è noto come il fenomeno dell’anticlericalismo, e l’anticlericalismo ne
ha generato un altro: quello che chiamo nel libro “l’equazione laica”, cioè liberale
= non cristiano. Questo è un errore, perché si può discutere storicamente i meriti
e i demeriti della Chiesa cattolica in Europa nei momenti della fondazione degli Stati
nazionali, ma non si può discutere l’importanza del messaggio cristiano. Oggi, questa
cosa la vediamo bene, perché se facciamo questa seconda scelta, cioè se dall’anticlericalismo
passiamo all’anticristianesimo - quella che chiamo l’apostasia del cristianesimo -
noi perdiamo le stesse qualità, le stesse virtù, gli stessi fondamenti di quelle libertà
e di quei diritti su cui si fondano i nostri Stati liberali. D.
- L’Europa ha un ruolo centrale nel suo saggio: un’Europa che - lei sostiene - pensando
di diventare più aperta e inclusiva ha smarrito la sua identità, le sue radici. Anche
qui trova un terreno comune con Benedetto XVI, ma in fondo anche con Giovanni Paolo
II… R. - Sì, esattamente: tutti ricordano che Giovanni Paolo
II aveva tante volte insistito, parlato, predicato, scritto, sulle radici cristiane
d’Europa. E anche questa è storia che non può essere dimenticata. E’ importante questo
richiamo, perché la tradizione cristiana - che è quella che ha tenuto a battesimo
l’Europa dalla crisi dell’Impero romano fino ad oggi - è ciò che dà l’identità dell’uomo
europeo e che gli ha dato tutte le caratteristiche, tutte le virtù… E’ una storia
naturalmente tribolata, è una storia anche di conflitti. Ma l’atto battesimale, quello
che ha fornito identità, quello che può distinguere l’uomo europeo dagli altri, è
questa sua accettazione - e poi trasformazione in un messaggio civile - del Vangelo. D.
- Quanto, secondo lei, un Papa come Benedetto XVI può aiutare l’Europa a ritrovare
se stessa e il liberalismo a tornare alle sue origini? R. -
Io credo moltissimo. Credo che la cifra del suo Pontificato si stia caratterizzando
proprio in questo: è una sfida che lui lancia ai non credenti, ai laici, sul loro
stesso terreno, e li invita non a convertirsi: li invita a trovare un terreno comune
sulle comuni libertà, sui comuni diritti dell’umanità. Non a caso, questo è il Papa
del dialogo interculturale, cioè di quel dialogo che deve mettere a fuoco quali sono
i fondamentali diritti dell’Uomo che devono essere accettati da tutti. La storia ha
messo sulle spalle di Benedetto XVI un grande compito, in particolare in Europa. Il
successo che sta avendo non soltanto in alcune parti della “intelligentia” laica,
ma anche presso tantissima parte dell’opinione pubblica, dimostra che questo Papa
è fortemente sintonizzato sui nostri tempi e che ha un grandissimo compito.