Taizé riunisce migliaia di giovani di tutto il mondo a Nairobi
Sono migliaia i giovani giunti in queste ore a Nairobi, in Kenya, dove ieri si è aperto
l’incontro internazionale organizzato dalla Comunità di Taizé sul tema “Condividere
la speranza”. Tre i raduni che si sono svolti dal ’95 e voluti da Frère Roger per
consentire alle nuove generazioni dei diversi continenti di conoscersi e di condividere
le loro speranze. Alla Comunità di Taizé lo chiamano “pellegrinaggio di fiducia sulla
terra”, ma quale l’obiettivo di questo appuntamento giovanile internazionale? Tiziana
Campisi lo ha chiesto a frére Luc:
R. –
L’obiettivo è invitare i giovani ad ascoltare Dio, ad incontrarsi per fare un’esperienza
personale di comunione con Dio, ma anche di universalità della Chiesa. Frère Roger
già da molti anni ha imparato questo pellegrinaggio di fiducia sulla terra. Lo abbiamo
celebrato in diversi continenti ed è molto importante raggiungere anche i giovani
africani, per questo già da due anni abbiamo preparato questo incontro giovanile a
Nairobi.
D. – Quali frutti hanno dato in questi anni
gli incontri?
R. – I frutti sono diversi. Prima di
tutto, è un’esperienza personale. Non è sempre possibile misurarla, ma è chiaro che
per molti giovani aiuta ad avere una coscienza più profonda, più chiara della propria
identità cristiana, della Chiesa come comunione universale e aiuta a portare avanti
un impegno nella comunità locale. Questo impegno può svilupparsi in diversi modi.
C’è anche un obiettivo concreto: aiutare i giovani a scoprire che la parrocchia può
essere un luogo dove ognuno può contribuire sempre più alla costruzione della Chiesa
come comunità.
D. – Cosa significa per voi stare
al fianco dei giovani?
R. – Una sfida, una responsabilità
molto bella e un regalo.
D. - Ma come stanno vivendo
i giovani queste giornate in Kenya? Ascoltiamo Mauro Grande,
giunto a Nairobi da Vicenza:
R. – Io in questo momento
sono in un piccolo paese della savana. Taizé ci ha dato l’opportunità, perché è arrivato
prima, di fare un pre-meeting. Io sono stato mandato in una comunità di marianisti,
che è una comunità religiosa, nella casa degli aspiranti, e quindi ho convissuto un
po’ con loro. Seguivo uno dei ragazzi in uno slum, chiamato Mucuro, uno dei tanti
slum presenti qui a Nairobi. E devo dire che è stata un’esperienza molto forte. A
me sembra che qui ci sia proprio una netta differenza tra la città, considerata riferimento
di ricchezza, e la periferia che è in un estremo degrado.
D.
– Quale realtà vivono i giovani in Kenya?
R. – Credo
che bisogna approcciarsi a queste diverse culture proprio con un’ottica di apertura,
perchè spesso si è portati a fare un confronto diretto, quando credo invece che non
ci siano da fare troppi confronti, ma ci sia soltanto da condividere e da integrare.
I giovani che ho incontrato sono giovani come me, come tanti altri, che cercano nella
loro dimensione di vivere una relazione con le persone e dei progetti con i ragazzi
più giovani, e hanno le loro chiese, i loro oratori, hanno i loro laboratori per i
giovani e poi cercano di portare avanti dei progetti proprio per mantenere viva l’idea
che ci sia un percorso da fare per avere un’identità nel tempo.
D.
– Quando tornerai alla tua vita quotidiana, quale bagaglio porterai con te?
R.
– In queste ore quello che mi sto dicendo è che un po’ mi vergogno di vedere che esistono
al mondo ancora realtà così degradate. Credo di portare l’idea che bisogna rimboccarsi
le maniche ancor di più per cercare di sostenere un benessere per tutti, equo e solidale.