Mons. De Paolis: annunciare Cristo non è imposizione né proselitismo ma proposta di
libertà
La natura missionaria della Chiesa nel Codice di Diritto Canonico: è il tema dibattuto
oggi in un Convegno promosso dalla Pontificia Università Urbaniana, a Roma. Un’occasione
preziosa di studio e di bilancio nel XXV anniversario dell’entrata in vigore del Codice
di Diritto Canonico. Ad inaugurare i lavori è stato il cardinale Ivan Dias, prefetto
delle Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli; a seguire, la prolusione di
mons. Velasio De Paolis, presidente della Prefettura degli Affari Economici
della Santa Sede, che ha sottolineato l’importanza del Nuovo Codice per avere raccolto
le istanze di missionarietà emerse dal Concilio Vaticano II. Ascoltiamolo al microfono
di Roberta Gisotti:
R. – Il Concilio ha sottolineato due aspetti
della dimensione missionaria: la dimensione generale, costitutiva, che la Chiesa deve
annunciare il Vangelo, e una dimensione specifica, che la Chiesa deve annunciare il
Vangelo a coloro che non l’hanno ancora mai sentito. Il Concilio ha sottolineato sia
l’una che l’altra dimensione, ma c’è stato un periodo di un certo oscuramento, affievolimento,
quasi che la dimensione generale renda vana la dimensione specifica di annunciare
il Vangelo cosiddetto “ad gentes”, cioè ai non credenti. Il Codice che viene dopo
il Concilio, e che è l’ultimo documento del Concilio, invece, ha sottolineato ancora
la validità di questi due aspetti.
D. – Negli ultimi
decenni, la missione “ad gentes” è stata qualche volta rimessa in discussione. A 25
anni dal Codice, come si pone la Chiesa su questo aspetto?
R.
– Questa dimensione è stata un po’ oscurata, come sotto tanti altri aspetti, per di
più, in nome del Concilio; in realtà, come accennavamo, il Concilio, proprio nel decreto
“ad gentes” sottolinea la necessità e l’importanza dell’annuncio a coloro che non
l’hanno ricevuto. Però, questo annuncio, presuppone delle verità fondamentali della
nostra fede, che alle volte sono dimenticate e che sono state richiamate dal Magistero:
che Gesù è l’unico Salvatore del mondo, è l’unico mediatore della salvezza, che la
Chiesa è la comunità voluta dal Signore a cui è affidato il compito della salvezza
ed ha affidato ad essa anche i mezzi di questa salvezza, cioè l’annuncio della Parola,
la realtà salvifica dei sacramenti e il ministero anche del servizio apostolico. Ora,
bisogna recuperare precisamente questi presupposti, che sono il fondamento della nostra
fede cristiana.
D. – Che fare quando i missionari
vengono accusati di fare del proselitismo in Paesi e in contesti religiosi che non
accettano il proselitismo?
R. – La parola proselitismo
oggi viene intesa in modo peggiorativo ma in realtà proselitismo è una dimensione
che appartiene a tutti ed è il principio della libertà, che tutti hanno di poter comunicare
agli altri i valori nei quali credono. Anzi, se uno crede che questi valori di fatto
sono interessati a tutti gli uomini e che tutti gli uomini possono trovare il senso
della loro vita in questi valori - come è per il cristiano - è un dovere che abbiamo
di annunciare; annunciare non è dominare ma è esprimere la propria gratitudine a Dio
e, nello stesso tempo, la gioia di farlo conoscere anche ad altri. E’ un proporre,
non è imporre.