Il vescovo di Lubango: la guerra in Congo, questione mondiale
Resta preoccupante la situazione nel nord della Repubblica Democratica del Congo.
Sembrano ripresi, anche se sporadici, i combattimenti, dopo che il governo ha seccamente
respinto due giorni fa la proposta dell'Onu di avviare negoziati diretti con i ribelli,
che ormai controllano gran parte del nord est del Paese. Il mediatore dell'Onu, l'ex
presidente nigeriano Obasanjo, aveva incontrato nei giorni scorsi il leader dei ribelli
congolesi, generale Nkunda. Il rischio è che ora riesplodano gli scontri militari,
che hanno già causato molte centinaia di morti, ed oltre un milione di profughi in
condizioni disperate. Proprio della drammatica situazione dei profughi al confine
con l’Angola parla l’arcivescovo di Lubango, mons. Gabriel Mbilingi, nell’intervista
di Linda Bordoni: R. - Prima, quando noi eravamo in guerra, abbiamo avuto
dei profughi angolani, nel Congo, mentre adesso accade il contrario. Le frontiere
non hanno ancora una sicurezza tale per poter dire che non si può passare da una parte
all’altra. Dall’altro alto, non possiamo neanche chiudere le frontiere quando c’è
una situazione umanitaria che ci chiede una risposta, un aiuto puntuale. Inoltre siamo
preoccupati, perché i nostri confratelli vescovi del Congo ci hanno inviato un messaggio
chiedendo aiuto, sia alla Conferenza episcopale dell’Angola sia anche al governo del
nostro Paese, affinché si possa sollecitare l'attenzione non soltanto della comunità
internazionale ma anche degli angolani stessi, che pure hanno vissuto un’esperienza
difficile ed hanno trovato rifugio proprio nei Paesi confinanti. D.
- C’è un appello che vuole fare alla comunità internazionale? R.
- Le guerre, in questo mondo globalizzato, non possono essere viste come questioni
di un Paese o di una regione. No, la pace è una questione mondiale; la stabilità è
anche quella una questione mondiale, la vita stessa è una questione mondiale. Per
cui, io mi rallegro anche per la presenza dell’Onu che ha deciso di rafforzare i gruppi
dei soldati che si trovano in Congo. Tuttavia, vorrei anche che la questione fosse
vista in un contesto un po’ più globale, perché quella regione soffre da tanti anni
e non è possibile continuare così. Certamente ci sono delle politiche - forse con
delle motivazioni di tipo economiche - alle quali bisogna porre uno stop, perché tutto
quello che facciamo oggi per salvare il Congo, anche se si trattasse di una sola persona,
è un bene per tutta l’umanità.