Mons. Marchetto: risolvere l'emergenza di milioni di immigrati senza documenti e senza
diritti
Di fronte agli oltre 200 milioni di migranti, sfollati e rifugiati, la Santa Sede
esorta ad instaurare una cultura della solidarietà che rispetti i bisogni materiali
e spirituali e, soprattutto, la dignità umana di queste persone. Un’esortazione, questa,
ribadita durante il seminario sulle migrazioni, promosso a Liverpool dal Consiglio
delle Conferenze Episcopali d’Europa (Ccee) e dal Congresso delle Conferenze Episcopali
di Africa e Madagascar (Secam). L’incontro, conclusosi ieri, è stato organizzato nell’ambito
di una serie di incontri volti a “promuovere la collaborazione tra le Chiese dei due
Continenti”. Si tratta di una cooperazione importante, come spiega al microfono di
Linda Bordoni, del programma inglese della nostra emittente, l’arcivescovo
Agostino Marchetto, segretario del Pontificio Consiglio della Pastorale per i
Migranti e gli Itineranti:
R. – E’ una
grazia che si sia cominciato un dialogo tra questi due Continenti, anche per quanto
riguarda la Chiesa. Questo è un segno della collegialità episcopale, intesa in senso
largo, naturalmente, su due punti fondamentali: comunione e solidarietà. Questi certamente
sono il nostro pane quotidiano: la Chiesa come comunione e la Chiesa con questa solidarietà.
Naturalmente, il fatto che si sia deciso di mettere a fuoco questo tema della mobilità
umana è anche un conforto ed una consolazione per noi del Pontificio Consiglio della
Pastorale dei Migranti, che siamo impegnati in questo campo vivamente. D.
- Come interpretare oggi il fenomeno della mobilità umana? R.
– La mobilità umana è uno dei segni dei tempi e la Chiesa vuole avere una pastorale
specifica per queste persone che sono in movimento. Credo che questa sia la grande
intuizione di Pio XII nel documento ‘Exul familia’, che raccoglie tutto quello che
era stato già fatto nei primi 50 anni del secolo scorso. D.
– Una grande emergenza è quella delle persone senza documenti e, quindi, senza diritti.
Emergenza da risolvere... R. – Sì, pensiamo agli apatridi, per
esempio: sono più di cinque milioni nel mondo e ci sono tanti bambini. Questo significa
non aver nessun diritto, praticamente. Significa non poter – in fondo – andare a scuola.
Vuol dire non avere assistenza medica oltre ad altre varie conseguenze. D.
- Parlando come segretario del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti
e gli Itineranti, si può incidere, oltre che con iniziative pastorali, anche nelle
decisioni politiche di singoli Stati? R. – Io credo che le mie
dichiarazioni negli ultimi tempi certamente abbiano seguito linee pastorali. Però
avevano un desiderio – umilmente – di incidere in quelle che sono le politiche degli
Stati, addirittura dell’Unione Europea. Quindi credo che si dimostri che la nostra
preoccupazione certamente è pastorale. Ma è bene inserita nella pasta del quotidiano
svolgersi della vita di questi nostri fratelli e di queste nostre sorelle in particolare
necessità. D. – In un mondo dilaniato da profonde sofferenze
si può aver fiducia nel futuro? R. – Se noi cristiani non abbiamo
fiducia e speranza, chi potrà avere fiducia e speranza? Quindi io ho fiducia e ho
speranza perché credo che, con tutte le cattiverie che noi uomini abbiamo, c’è anche
questa impronta di Dio che è nell’animo di ciascun uomo nonostante i limiti e, a volte,
le visioni e le mancanze di visione per quanto riguarda questo strutturale fenomeno
della migrazione. Alcuni non devono farsi illusione del fatto che possa essere un
fenomeno transitorio. Quindi anche noi dobbiamo considerare che questo tema – non
dico “problema” – sarà con noi: dico “tema” e non “problema” perché già Giovanni Paolo
II, ma ancora il Santo Padre Benedetto XVI, ha detto che non bisogna vedere solamente
come un problema le migrazioni. Si deve vedere tale fenomeno anche come un dono con
tutti gli aspetti positivi che questo può portare, vincendo naturalmente tutte le
difficoltà.