Domani, a Nagasaki l’attesa beatificazione di Pietro Kibe Kasui, gesuita, e di 187
martiri giapponesi
Come ha ricordato il Papa all’Angelus, domani la Chiesa cattolica giapponese vivrà
un evento unico. Una celebrazione religiosa pubblica inconsueta che domani, lunedì
24 novembre, per ospitare le oltre trentamila persone previste, si svolgerà nello
stadio di baseball di Nagasaki. E’ la beatificazione di Pietro Kibe Kasui, gesuita,
e di 187 martiri giapponesi, nella stragrande maggioranza laici, intere famiglie,
donne e bambini. La celebrazione liturgica sarà presieduta dal cardinale arcivescovo
emerito di Tokyo, mons. Peter Seiichi Shirayanagi, con il cardinale Saraiva Martins,
Prefetto emerito della Congregazione delle cause dei santi, in rappresentanza del
Papa, e alla presenza del cardinale Ivan Dias, prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione
dei Popoli. Una celebrazione che avrà una risonanza oltre i confini del Giappone,
perché insieme ai sedici vescovi del Paese, su loro invito, concelebreranno anche
sette vescovi dalla Corea, insieme a vescovi dalle Filippine e da Taiwan.
I
188 martiri sono una rappresentanza di quei cristiani che tra il 1603 e il 1639 con
la loro vita gettarono le fondamenta di una radicata comunità cristiana in tutto il
Giappone. Il vescovo Osamu Mizobe, presidente della commissione dei vescovi giapponesi
che ha preparato la beatificazione, ricorda, infatti, che sono oltre cinquemila le
persone di cui si conosce il nome e le modalità del martirio, su un totale di circa
ventimila persone che persero la vita nelle persecuzioni anticristiane. Un frutto
maturato in pochi anni, se si pensa che il primo missionario a mettere piede nel Sol
Levante era stato appena cinquanta anni prima, il gesuita san Francesco Saverio. E
non a caso, tra i martiri di domani ci sono quattro gesuiti, insieme anche ad un agostiniano,
a testimonianza di un impegno apostolico che vede ancora oggi la Compagnia di Gesù
ben radicata nella società e nella cultura giapponese. Quello che colpisce nella biografia
di questi martiri, non è tanto l’efferatezza delle torture cui vennero sottoposti
uomini, donne e bambini, ma è la radicalità della loro fede, il fortissimo legame
comunitario che univa gente comune con esponenti della nobiltà, molti appartenevano
alla rispettata classe dei samurai. Anch’essi, per rimanere fedeli al Vangelo ed al
suo messaggio di amore, accettarono la morte inermi, spesso con le loro famiglie.
Per questo, la Chiesa cattolica del Giappone, guarda a loro come compagni
di fede per il futuro, come spiega l’arcivescovo di Nagasaki, mons. Joseph Mitsuaki
Takami, intervistato da Davide Dionisi:
R.
– Potrebbe essere un punto di partenza, ripartenza, per l’evangelizzazione e per rinnovare
la nostra coscienza, forse, come cristiani. Ci hanno dato un grande messaggio: la
fede, l’atteggiamento verso gli altri, la pace, la libertà di religione.
D.
– Come viene vista dalle altre comunità religiose civili la beatificazione di martiri
cristiani?
R. – Adesso sono molto interessati a sapere;
questa beatificazione può essere anche un’occasione per noi, per la Chiesa del Giappone,
di far sapere a loro questa nostra fede, il nostro messaggio che abbiamo per la società
giapponese. Possiamo far sapere agli altri giapponesi che ci sono valori non mondani
ma eterni, che i martiri hanno potuto per questo offrire le loro vite. Nella società
giapponese, come nelle altre società, c’è tanta gente che vive un po’ troppo egoisticamente.
D.
– Possiamo dire che pure nella drammaticità di quegli eventi, la loro testimonianza
è un patrimonio che arricchisce il Paese?
D. – Non
è solo questa beatificazione che può fare questo, ma tutti noi cristiani giapponesi
dobbiamo fare più sforzi per arricchire il nostro Paese, portando il nostro patrimonio
cristiano, dando la nostra testimonianza. Dobbiamo continuare, sempre.
Concorda
il vescovo di Takamatsu, mons. Osamu Mizobe, presidente della Commissione dei
vescovi giapponesi per la beatificazione dei 188 martiri, raggiunto telefonicamente
da Pietro Cocco:
R. – Questi
martiri danno una lezione: vivere con la fede, vivere con personalità, e morire; dunque,
da una parte, dare un messaggio alla società giapponese di oggi, dall’altra parte,
alla Chiesa cattolica. Questa potrebbe essere l’occasione di un rinnovamento spirituale
della Chiesa giapponese.
D. – Come viene vista dalle
altre comunità religiose e civili in Giappone questa beatificazione?
R.
– In genere, molto favorevole.
D. – Ma a cosa fu
dovuto questo periodo così doloroso e drammatico della Chiesa cattolica in Giappone?
R.
– Il problema principale della persecuzione è questo: la religione cristiana ha insistito
nell’affermare che Dio è l’unico creatore, e lo Stato giapponese non ammetteva questo.
D.
– Mons. Mizobe, la beatificazione riguarda 188 persone; c’è padre Kibe, un padre gesuita,
con altri tre confratelli, un padre agostiniano; gli altri sono tutti quanti laici…
R.
– Nello scegliere questi martiri, noi ci siamo basati su quattro criteri. Il primo
è questo: per i giapponesi, per la vita cattolica del Giappone. Il secondo è: fino
ad adesso tutti questi santi beati sono stati uomini, allora questa volta abbiamo
preso in considerazione le donne, i bambini. Il terzo è: 400 anni fa la Chiesa cattolica
si è espansa per tutto il Giappone, allora abbiamo preferito scegliere quasi tutte
le diocesi. Poi, il quarto criterio è che sono quattro sacerdoti, che sono ben noti,
conosciuti, però ci sono tanti altri sacerdoti martiri.