2008-11-20 15:04:37

Il cardinale Cordes: i beni materiali nella Chiesa devono servire la causa dell'evangelizzazione


E’ da poco rientrato a Roma dagli Stati Uniti, il cardinale Paul Josef Cordes, presidente del Pontificio Consiglio Cor Unum, il dicastero vaticano incaricato di promuovere l’impegno caritativo della Chiesa. Il porporato ha incontrato i vescovi statunitensi riuniti a Baltimora per la loro Assemblea plenaria, ha tenuto due conferenze sugli elementi teologici della prima enciclica di Benedetto XVI Deus caritas est ed ha avuto un incontro con una cinquantina di vescovi sul tema della carità negli Stati Uniti. Al microfono di Roberto Piermarini, il cardinale Cordes ha spiegato qual è stato lo scopo della sua visita:RealAudioMP3

R. - Questa iniziativa è nata perché l’enciclica del Papa Deus caritas est ha rappresentato una forte implicazione per i vescovi in tutto l’ambito caritativo. Ho voluto sottolineare questo aspetto e richiamare i vescovi alla loro responsabilità. A volte, i vescovi hanno l’impressione che le opere caritative possano camminare da sole. Ma c’è un pericolo: che le varie opere, e gli organismi che le sostengono, si allontanino sempre di più dalla missione ecclesiale. Accade che arrivino tanti aiuti da benefattori esterni alla Chiesa, l’amministrazione sia incentrata su una determinata funzionalità e così si finisca per dimenticare che il Signore ha fatto i beni anche per proclamare il Vangelo: ecco perché la missione caritativa della Chiesa è legata anche alla missione ecclesiale che vuole proclamare il Vangelo. I vescovi devono quindi recuperare la loro responsabilità nei riguardi dell’evangelizzazione, della quale l’aiuto caritativo è una parte.

 
D. - In base a quello che lei ha visto in occasione di questo viaggio, quali sono le nuove sfide che le strutture caritative cattoliche devono affrontare negli Stati Uniti?

 
R. - C’è sempre la tentazione del secolarismo. La Caritas dei vescovi americani per l’estero, che si chiama “Catholic Relief Services - CRS” ha un badget preventivo annuo di circa 500 milioni di dollari e due terzi di questo importo vengono dallo Stato. Significa che lo Stato chiede un bilancio preciso: chiede ricevute, chiede un lavoro amministrativo e quindi, necessariamente, questa agenzia si occupa molto di tali aspetti. Ad esempio, per il controllo serve la collaborazione di funzionari esperti e così, alla lunga, si manifesta una tendenza a separarsi dalla missione ecclesiale. Questo stesso secolarismo che ho rilevato negli Stati Uniti vale anche per i Paesi dell’Europa. Per esempio, in Germania la Caritas ha 500 mila impiegati, pagati dalla Caritas stessa. E questo manifesta un orientamento nuovo riguardo alla funzionalità, agli effetti sociali, e non necessariamente implica un interesse per la fede. La Deus Caritas est è molto, molto importante perché sottolinea che la missione della Chiesa ha sempre due facce: quella della proclamazione della Parola di Dio e quella di fare del bene, cioè sperimentare che Dio ama il suo popolo.

 
D. - Eminenza, quali Paesi sta aiutando sul piano caritativo il suo dicastero Cor Unum?

 
R. - Quando si verificano catastrofi naturali o ci sono specifiche difficoltà, il Santo Padre ci spinge a dare un segno della sua misericordia, della sua sensibilità nei riguardi di quella tale situazione. Negli ultimi tempi, siamo intervenuti spesso: c’è stato il terremoto in Pakistan, abbiamo aiutato anche dopo l’uragano che ha colpito Cuba e Haiti inviando denaro ai vescovi. Recentemente, abbiamo ricevuto richieste d’aiuto dal vescovo di Bukavu a causa della guerra in corso nella Repubblica Democratica del Congo. Tutti hanno bisogno di un aiuto concreto, materiale, e noi lo inviamo a nome del Papa. Abbiamo dato un aiuto - e questa è stato un fatto nuovo - anche ai terremotati della Cina continentale: si sa che le relazioni con la Chiesa non sono molto facili, ma l’aiuto del Papa per i terremotati è stato bene accolto.

 
D. - La crisi finanziaria, che in questi ultimi mesi ha colpito il mondo, ha coinvolto anche gli aiuti di Cor Unum? Avete avuto maggiori richieste?

 
R. - No, ancora no. Ma anche noi abbiamo risentito di questa crisi, perché non abbiamo “liquidi” come avevamo prima. Adesso, anche noi dobbiamo riflettere di più su come reperire i fondi e siamo riconoscenti a tutti i benefattori che ci danno un po’ d’aiuto, anche materiale.

 
D. - Lei come presidente di Cor Unum ha intrapreso diversi viaggi in varie parti del mondo: India, Polonia, Francia, Stati Uniti, Filippine. Che bilancio può fare di questi viaggi?

 
R. - Un aspetto importante è sempre stato quello dell’incontro con i vescovi. L’enciclica Deus caritas est sottolinea molto la responsabilità del vescovo stesso e dice chiaramente che la carità è un’opera ecclesiale. Non è una filantropia, non è l’operato della Croce Rossa: è un’opera ecclesiale. La teologia ci dice: “Il vescovo è responsabile della proclamazione della Parola, della materia della liturgia, cioè della celebrazione del Signore, ma è responsabile anche della diaconia”. I vescovi hanno tante cose da fare, e quando vado in visita nelle varie parti del mondo e riflettiamo sul testo dell’enciclica tento di spingere affinché sia realizzato quello che il Papa ha scritto nell’enciclica: che non si può delegare completamente l’opera caritativa ad altri. Certamente, il vescovo deve farsi aiutare; ma deve sempre ricordare che è lui la persona decisiva per quanto riguarda l’opera caritativa.

 
D. - Cor Unum ha lanciato una nuova iniziativa: gli esercizi spirituali per i responsabili delle associazioni caritative in varie parti del mondo. Qual è lo spirito di questa proposta?

 
R. - Incontrando i vescovi anche qui a Roma, quando vengono per la loro visita ad Limina - perché quando vengono in gruppo passano anche da noi, soprattutto quelli dei Paesi poveri - abbiamo visto che si interessano maggiormente alla seconda parte dell’enciclica, in cui si parla degli aspetti pratici. Ma non a caso, il Papa ha scritto tutta una prima parte sulla questione di Dio, sottolineando molto che la questione di Dio è oggi la più importante. Ci siamo quindi chiesti: cosa possiamo fare per i collaboratori della Caritas, per mettere in rilievo questa prima parte dell’enciclica? E così, abbiamo invitato a Guadajara, in Messico, i presidenti e direttori - sono in parte vescovi, in parte preti, in parte laici - delle Caritas del Nord e Sud America. Abbiamo mandato 2.000 inviti e abbiamo ricevuto circa 500 adesioni tra presidenti e direttori di Caritas. E padre Raniero Cantalamessa è stato così gentile da predicare loro un ritiro di quasi una settimana. La risonanza è stata molto, molto positiva. Abbiamo raccolto tante e bellissime testimonianze di coloro che hanno partecipato, che ci hanno detto: “Finalmente c’è qualcuno che ci offre questa occasione! In genere, da noi ci si aspetta soltanto la nostra attività, mentre questa volta ci si è interessati di suggerirci come va fatta la carità: ciò significa che la nostra fede è stata intensificata e noi siamo stati messi a confronto con il Vangelo”. La risonanza è stata tanto positiva da indurci a pensare di ripetere l'esperienza anche in Asia: l’anno prossimo, a luglio, invitando a Taiwan tutti i presidenti e direttori della Caritas di Asia.

 
D. - Eminenza, lei rappresenta il Papa per quanto riguarda la carità in diverse parti del mondo. Che cosa rappresenta per il Pontificato di Benedetto XVI l’aspetto caritativo?

 
R. - Non a caso, il Papa ha scelto come prima enciclica, questa sulla carità: non è un caso. A me sembra che, prima di tutto, oggi ci sia una grande sensibilità nei riguardi del comandamento di amare il prossimo, una grande sensibilità in tutto il mondo. Oggi, nessuno può dire: non mi interessa il sofferente, non mi interessa chi vive in miseria. E la cosa esercita anche un certo fascino, perché anche i grandi della cultura, della politica, si vantano di fare molte belle cose in favore dei poveri e degli emarginati. A me sembra quindi che il Papa abbia voluto raccogliere questa sensibilità, che è una cosa bellissima, per lanciare un messaggio che dice: se tu ami il tuo prossimo, lo ami perché sei amato da Dio. Per dare una trasparenza a questa sensibilità umanistica, che troviamo ovunque, perché tutto questo è possibile grazie al messaggio che ha portato Gesù Cristo, che Dio ci ama. E di conseguenza, comunicare una dimensione di fede in questo umanesimo, in questa filantropia.







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