L'intervento del cardinale Scola alla plenaria del Pontificio Consiglio per i laici
La Chiesa vive la sua caratteristica dimensione secolare col coraggio semplice di
essere Popolo di Dio che attraversa la storia. Lo ha detto il cardinale patriarca
di Venezia, Angelo Scola, nel corso del suo intervento dal titolo: “La teologia del
laicato alla luce dell'ecclesiologia di comunione: l'identità del fedele laico”, in
occasione della XXIII Assemblea plenaria del Pontificio Consiglio per i laici, che
si è conclusa domenica a Roma. Ci riferisce Benedetta Capelli:
“L'identità
del fedele laico rispecchia la natura ellittica della Chiesa”. Parte da questo assunto
la riflessione del cardinale Scola che precisa quali sono i due fuochi che la definiscono:
“In relazione a Cristo e alla sua missione e in relazione al mondo, nel quale è immersa
e a cui è continuamente inviata”. “Una polarità – aggiunge – che non altera l’unità
e l’identità del mistero della Chiesa” che vive “la sua caratteristica dimensione
secolare senza venir meno alla sua identità formale”. Riprendendo il discorso alla
Curia Romana di Benedetto XVI, il 22 dicembre 2005, il patriarca di Venezia ricorda
la definizione di Chiesa da parte del Papa:“Un soggetto che cresce nel tempo e si
sviluppa, rimanendo però sempre lo stesso, unico soggetto del Popolo di Dio in cammino”.
Pertanto “appare una strada privilegiata per riconoscere
l’arricchimento della fede nella sua dimensione soggettiva – evidenzia il porporato
- indicare i contenuti precisi della dimensione secolare della Chiesa e della specifica
indole secolare dei fedeli laici”. Il cardinale Scola mette poi in guardia da “due
visioni distorte del rapporto Chiesa-mondo”; la prima è definita di “cripto-diaspora”
e riduce la fede ad una dimensione di persona, rinunciando ad “assumere fino in fondo
il rapporto col mondo come uno dei fuochi dell'ellisse della Chiesa”. L’altra è la
visione che riduce la fede cristiana a religione civile o a “mero cemento etico” e
che fa del rapporto con il mondo “il centro dell’identità della Chiesa perdendo irrimediabilmente
di vista l'originario fuoco cristologico”.
“Per
evitare questi due rischi – precisa il porporato - occorre pensare in modo conveniente
la dimensione secolare della Chiesa e l'indole secolare propria dei fedeli laici”.
Così, il cardinale Scola ricorda che “la Chiesa vive la sua caratteristica dimensione
secolare col coraggio semplice di essere Popolo di Dio che attraversa la storia, tutta
la storia, testimoniando la bellezza dell'evento integrale di Gesù Cristo che, nella
forma della comunione, ci apre alla salvezza eterna donandoci come caparra il centuplo
quaggiù”.
In questa direzione il patriarca di Venezia
evidenzia “la necessità di vivere e annunciare i misteri cristiani in tutte le loro
implicazioni”. Misteri cristiani che rappresentano “il fondamento vivificante di tutto
il reale – in ultima analisi la Santissima Trinità – che si comunica alla nostra libertà
finita”. “In termini concreti – semplifica il porporato citando ancora l’allora cardinale
Ratzinger - quando la fede dice all'uomo chi egli è e come deve incominciare a essere
uomo, la fede crea cultura. La fede è essa stessa cultura”. E’ dunque “la comunità
cristiana come tale ad annunciare integralmente i misteri della fede – conclude -
giungendo fino alle loro implicazioni antropologiche, sociali e cosmologiche”.