Vertice del G20 a Washington contro la crisi economica mondiale
Dopo la cena di apertura, proseguono oggi i lavori del G20 di Washington. Fortemente
voluto dal presidente di turno dell'Unione Europea, Sarkozy, il vertice si presenta
con chiarezza come una prima tappa di un lungo lavoro che aspetta i leader delle principali
economie mondiali per uscire dalle secche di una crisi economica che dai mercati sta
passando alle imprese, con conseguenze sempre più pesanti per i cittadini. Oltre ai
20 Paesi, partecipano anche i vertici di diverse istituzioni: Banca Mondiale, Fondo
Monetario Internazionale, Nazioni Unite, Forum di Stabilità finanziaria. Il servizio
di Fausta Speranza:
L’impegno
a lavorare insieme e soprattutto un prossimo concreto appuntamento per farlo: sembra
il risultato più importante di un vertice che di positivo ha comunque il fatto di
vedere allargato quello che sembrava l’esclusivo club degli 8 Paesi più industrializzati.
La crisi è globale e la risposta deve essere più allargata possibile. In concreto
sembra che torneranno a riunirsi a metà febbraio e probabilmente a Londra visto che
sarà presidente di turno dell’UE la Gran Bretagna di Gordon Brown. Ma soprattutto
sarà entrato nel pieno dei suoi poteri il presidente eletto degli USA, Barack Obama.
Obiettivo finale: una ricetta salva-crisi, qualcuno dice ‘una nuova Bretton Woods’.
Ricordiamo che in questa località nel 1944 i grandi Paesi di allora, a conclusione
del secondo disastroso conflitto mondiale, si riunirono per definire regole commerciali
e finanziarie comuni. Ma che cosa ha significato per l’Occidente e per il resto del
mondo Bretton Woods? Lo chiediamo all’economista Alberto Quadrio Curzio:
R.
– La natura dell’accordo di Bretton Woods consisteva sostanzialmente nel conferire
al dollaro la centralità del sistema monetario - ma io credo anche finanziario mondiale
- ed agganciare, a sua volta, il dollaro all’oro con un rapporto di cambio fisso di
35 dollari per oncia. Significava che i possessori di dollari di tipo istituzionale
- intendo dire banche centrali di altri Paesi - potevano convertire i dollari, a loro
disposizione, in oro, a quel cambio fisso. E’ poi il momento storico in cui si fondano
la Banca mondiale e il Fondo Monetario Internazionale, con degli scopi specifichi:
per la Banca Mondiale, lo scopo era assistere i Paesi usciti dalla guerra nella ricostruzione,
scopo che poi si è via via modificato in assistenza ai Paesi in via di sviluppo. Per
il Fondo Monetario, lo scopo era di svolgere un ruolo di super visione a carattere
generale - non operativa delle relazioni monetarie finanziarie internazionali - con
dei compiti di intervento peraltro non particolarmente marcati. Dal punto di vista
della centralità del dollaro, tutto si è concluso nel 1971, quando gli Stati Uniti
hanno dichiarato la non convertibilità del dollaro in oro, mentre il Fondo Monetario
e la Banca Mondiale, sia pure con vicende alterne, hanno continuato ad operare.
D.
– Professore, nel primo incontro ieri sera è stata sottolineata la necessità di migliori
regole in tema di economia: migliore funzionamento dei mercati finanziari globali,
più trasparenza, migliore cooperazione nel monitorare i mercati. Però, in particolare
gli Stati Uniti, ma anche altri Stati, chiedono che ciò non sia protezionismo. Che
cosa dovrebbe essere?
R. – Io non vorrei che sotto
questo termine o concetto del protezionismo si faccia passare un’idea ben diversa
e cioè quella che singoli Stati, e soprattutto Stati molto abituati a decidere in
proprio, vogliano continuare a decidere in proprio nella ottica di una presunta libertà
dei mercati che in realtà significa poi una capacità o una volontà di decisione unilaterale
di taluni Stati. E, a mio avviso, il caso specifico è in primis, ma non solo, quello
degli Stati Uniti. Ora io credo che gli Stati Uniti non abbiano intenzione di acconsentire
che il loro sistema finanziario, in qualche modo, venga controllato da organismi sovranazionali
che abbiano, non solo un potere di descrizione di ciò che accade, ma anche un potere
di intervento su ciò che accade e su ciò che dovrebbe accadere. Questa mancanza di
disponibilità, io credo, sia un elemento non incoraggiante per trovare dei punti di
incontro. D’altra parte, pure altri Paesi hanno un atteggiamento analogo, vedi la
Cina, che è un Paese comunista a fronte di una grande democrazia come gli Stati Uniti.
Ebbene, la Cina non è un Paese intenzionato a consentire un'eccessiva invadenza nei
suoi affari, che sono affari ben diversi da quelli degli Stati Uniti ovviamente. Il
punto è che si tratta sempre di un desiderio di giocare una partita un po’ unilaterale
nel sistema mondiale. Sotto questi profili, l’Europa ha un atteggiamento molto diverso,
molto più cooperativo, molto più di democrazia partecipativa per ricostruire un ordine
finanziario e monetario mondiale.
D. – In definitiva,
ci sono le premesse perché non sia qualcosa solo in funzione dell’Occidente? Ci potrà
essere spazio per regole che non penalizzino ulteriormente il Terzo Mondo?
R.
– Io credo proprio di sì. Penso che questi Paesi possano giocare un ruolo molto importante.
L’Europa potrà avere un ruolo cruciale, determinante, sia perché è stata costruita
attraverso il consenso, faticosamente, e sia perché anche gli Stati Uniti, in qualche
modo, dovranno tener conto sempre più del punto di vista europeo. Il sistema multilaterale
non è un sistema rinviabile a lungo: potenze che operino in via unilaterale, come
gli Stati Uniti durante l’epoca Bush, non avranno un grande futuro nel XXI secolo.