2008-11-15 15:15:03

Vertice del G20 a Washington contro la crisi economica mondiale


Dopo la cena di apertura, proseguono oggi i lavori del G20 di Washington. Fortemente voluto dal presidente di turno dell'Unione Europea, Sarkozy, il vertice si presenta con chiarezza come una prima tappa di un lungo lavoro che aspetta i leader delle principali economie mondiali per uscire dalle secche di una crisi economica che dai mercati sta passando alle imprese, con conseguenze sempre più pesanti per i cittadini. Oltre ai 20 Paesi, partecipano anche i vertici di diverse istituzioni: Banca Mondiale, Fondo Monetario Internazionale, Nazioni Unite, Forum di Stabilità finanziaria. Il servizio di Fausta Speranza:RealAudioMP3

L’impegno a lavorare insieme e soprattutto un prossimo concreto appuntamento per farlo: sembra il risultato più importante di un vertice che di positivo ha comunque il fatto di vedere allargato quello che sembrava l’esclusivo club degli 8 Paesi più industrializzati. La crisi è globale e la risposta deve essere più allargata possibile. In concreto sembra che torneranno a riunirsi a metà febbraio e probabilmente a Londra visto che sarà presidente di turno dell’UE la Gran Bretagna di Gordon Brown. Ma soprattutto sarà entrato nel pieno dei suoi poteri il presidente eletto degli USA, Barack Obama. Obiettivo finale: una ricetta salva-crisi, qualcuno dice ‘una nuova Bretton Woods’. Ricordiamo che in questa località nel 1944 i grandi Paesi di allora, a conclusione del secondo disastroso conflitto mondiale, si riunirono per definire regole commerciali e finanziarie comuni. Ma che cosa ha significato per l’Occidente e per il resto del mondo Bretton Woods? Lo chiediamo all’economista Alberto Quadrio Curzio:

 
R. – La natura dell’accordo di Bretton Woods consisteva sostanzialmente nel conferire al dollaro la centralità del sistema monetario - ma io credo anche finanziario mondiale - ed agganciare, a sua volta, il dollaro all’oro con un rapporto di cambio fisso di 35 dollari per oncia. Significava che i possessori di dollari di tipo istituzionale - intendo dire banche centrali di altri Paesi - potevano convertire i dollari, a loro disposizione, in oro, a quel cambio fisso. E’ poi il momento storico in cui si fondano la Banca mondiale e il Fondo Monetario Internazionale, con degli scopi specifichi: per la Banca Mondiale, lo scopo era assistere i Paesi usciti dalla guerra nella ricostruzione, scopo che poi si è via via modificato in assistenza ai Paesi in via di sviluppo. Per il Fondo Monetario, lo scopo era di svolgere un ruolo di super visione a carattere generale - non operativa delle relazioni monetarie finanziarie internazionali - con dei compiti di intervento peraltro non particolarmente marcati. Dal punto di vista della centralità del dollaro, tutto si è concluso nel 1971, quando gli Stati Uniti hanno dichiarato la non convertibilità del dollaro in oro, mentre il Fondo Monetario e la Banca Mondiale, sia pure con vicende alterne, hanno continuato ad operare.

 
D. – Professore, nel primo incontro ieri sera è stata sottolineata la necessità di migliori regole in tema di economia: migliore funzionamento dei mercati finanziari globali, più trasparenza, migliore cooperazione nel monitorare i mercati. Però, in particolare gli Stati Uniti, ma anche altri Stati, chiedono che ciò non sia protezionismo. Che cosa dovrebbe essere?

 
R. – Io non vorrei che sotto questo termine o concetto del protezionismo si faccia passare un’idea ben diversa e cioè quella che singoli Stati, e soprattutto Stati molto abituati a decidere in proprio, vogliano continuare a decidere in proprio nella ottica di una presunta libertà dei mercati che in realtà significa poi una capacità o una volontà di decisione unilaterale di taluni Stati. E, a mio avviso, il caso specifico è in primis, ma non solo, quello degli Stati Uniti. Ora io credo che gli Stati Uniti non abbiano intenzione di acconsentire che il loro sistema finanziario, in qualche modo, venga controllato da organismi sovranazionali che abbiano, non solo un potere di descrizione di ciò che accade, ma anche un potere di intervento su ciò che accade e su ciò che dovrebbe accadere. Questa mancanza di disponibilità, io credo, sia un elemento non incoraggiante per trovare dei punti di incontro. D’altra parte, pure altri Paesi hanno un atteggiamento analogo, vedi la Cina, che è un Paese comunista a fronte di una grande democrazia come gli Stati Uniti. Ebbene, la Cina non è un Paese intenzionato a consentire un'eccessiva invadenza nei suoi affari, che sono affari ben diversi da quelli degli Stati Uniti ovviamente. Il punto è che si tratta sempre di un desiderio di giocare una partita un po’ unilaterale nel sistema mondiale. Sotto questi profili, l’Europa ha un atteggiamento molto diverso, molto più cooperativo, molto più di democrazia partecipativa per ricostruire un ordine finanziario e monetario mondiale.

 
D. – In definitiva, ci sono le premesse perché non sia qualcosa solo in funzione dell’Occidente? Ci potrà essere spazio per regole che non penalizzino ulteriormente il Terzo Mondo?

 
R. – Io credo proprio di sì. Penso che questi Paesi possano giocare un ruolo molto importante. L’Europa potrà avere un ruolo cruciale, determinante, sia perché è stata costruita attraverso il consenso, faticosamente, e sia perché anche gli Stati Uniti, in qualche modo, dovranno tener conto sempre più del punto di vista europeo. Il sistema multilaterale non è un sistema rinviabile a lungo: potenze che operino in via unilaterale, come gli Stati Uniti durante l’epoca Bush, non avranno un grande futuro nel XXI secolo.







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