Il commento di don Massimo Serretti al Vangelo della Domenica
In questa 33.ma Domenica del Tempo Ordinario la liturgia ci propone la parabola dei
talenti: un uomo, partendo per un viaggio, consegna ai servi i suoi beni, affidando
a uno cinque talenti, a un altro due, a un altro un talento. I primi due mettono a
frutto i beni affidati; non così il terzo, che al ritorno del padrone si vede tolto
il talento che viene consegnato al primo servo. Gesù conclude:
“A chiunque
ha, verrà dato e sarà nell’abbondanza; ma a chi non ha, verrà tolto anche quello che
ha”.
Su questo brano evangelico ascoltiamo il commento
del teologo, don Massimo Serretti, docente di Cristologia all’Università Lateranense:
(musica)
Tutti
noi viviamo nel tempo. Chi non "conosce" il tempo nel quale si colloca la sua vita
è come un naufrago in balia delle onde: alla deriva. Il Vangelo ci istruisce riguardo
a questo tempo. Noi viviamo il tempo della nostra vita presente dentro il tempo più
grande che è quello di Cristo Gesù. Viviamo tra la Sua dipartita, caratterizzata dalla
consegna a noi delle «cose sue» e il Suo ritorno, quando ci verrà chiesto che cosa
ne abbiamo fatto.
Il servo «buono e fedele» è colui
che «subito» (eutheos) fa circolare i beni che il Signore gli ha consegnato. Per questo
gli sono stati dati: perché diventino produttivi. Così egli, in virtù della «fedeltà
nel poco» è chiamato ad entrare nel molto (epi pollon), cioè nella gioia di Dio.
Tommaso
d'Aquino spiega perché non "gli è data la gioia", ma è invitato "ad entrare nella
gioia". Solo ciò che è più piccolo di noi, il bene esteriore, ci può essere dato,
in ciò che è più grande di noi, siamo chiamati ad entrare con tutto noi stessi (Super
Mt, c. 25 l. 2).
Il servo malvagio, pigro e indolente
riconsegna al padrone quel che aveva ricevuto. Egli viene condannato per due motivi:
(1) non ha fatto fruttare il talento; (2) non ha operato adoprando se stesso. Ma il
talento è dato per il suo impiego fruttifero e l'atto della donazione divina viene
annullato senza l'attivo, creativo e operativo impiego di sé. Nella nuda restituzione
non c'è l'«io». Se manchiamo nella implicazione più piccola di noi stessi non potremo
essere invitati in quella più grande: quella della gioia di Dio.