I vescovi dell'Argentina: costruire una nuova nazione sul dialogo, consenso e giustizia
Ricerca sincera e permanente “del dialogo e del consenso” sono per i vescovi argentini
le sfide principali per “costruire una nazione nuova (...) capace di darsi come priorità
lo sradicamento della povertà”. Questo l’auspicio della Conferenza episcopale argentina
al termine, ieri, della plenaria durante la quale è stato approvato un ampio documento
nella prospettiva del bicentenario, cioè delle celebrazioni che fino al 2016 ricorderanno
i due secoli dell’indipendenza repubblicana. Il servizio di Luis Badilla:
“Vogliamo
celebrazioni nello spirito della giustizia e della solidarietà”, ha sottolineato mons.
Jorge Casaretto, vescovo di San Isidro, presentando il documento alla stampa. “Il
fatto che in quest'incontro siano presenti tutti i vescovi argentini – ha aggiunto
il presule - vuole sottolineare l'importanza che attribuiamo a questi orientamenti
che riteniamo le linee-guida per il nostro lavoro pastorale nei prossimi anni”. Per
i vescovi argentini l’esperienza degli ultimi anni e l'uscita dalla crisi, “forse
la più complessa della storia” della nazione, dimostra che “la scelta della non-violenza
e la cura dei più deboli” è il cammino giusto. Un cammino da percorrere perché “le
controversie acutizzano i conflitti e danneggiano i poveri e gli esclusi”. La storia
dimostra, dunque, che occorre “cercare accordi duraturi (...), cicatrizzare le ferite
e non incoraggiare mai le esasperazioni e le polarizzazioni”. Ricordando che in una
democrazia sono “naturali” i momenti di conflitto, i vescovi allertano il Paese affinché
non si lasci trascinare, “allo scontro” e sia scelto sempre il “metodo più saggio
e opportuno”.
Gli obiettivi sono di prevenire e
affrontare tali momenti “tramite il dialogo”. "Quando prevalgono gli interessi particolari
sul bene comune, oppure quando il desiderio di dominio finisce per sovrastare il dialogo
e la giustizia, si snatura la dignità delle persone” e così cresce anche la povertà,
vera schiavitù moderna. Per i vescovi argentini, una “leadership vera è capace di
superare l’onnipotenza del potere e non si adagia solo nella semplice gestione delle
emergenze”. Al riguardo, rispondendo ad alcune domande dei giornalisti che hanno voluto
leggere in queste riflessioni una critica alle autorità, mons. Casaretto ha precisato:
“Non è così. In questo documento non ci sono critiche a settori o persone. Non siamo
interessati a giudicare ciò che accade o ciò che non accade. Siamo interessati a lanciare
un invito per camminare tutti verso una nuova tappa. Il prossimo bicentenario è un’occasione
storica per la riconciliazione definitiva degli argentini. Il nostro non è un programma
politico. Le nostre sono linee-guida che ci auguriamo servano come coscienza critica,
per svegliare le coscienze, come strumenti di lavoro di tutti. Vogliamo invitare tutti
a pensare un progetto-Paese che oggi non abbiamo. Vogliamo politiche pubbliche valide
oltre l’alternanza e transitorietà dei governi”. Infatti, l'ampia dichiarazione dell'episcopato
argentino spazia su diversi argomenti, tutti di fondamentale importanza oggi per l’intero
Paese. Si riflette “sull’emergenza educativa”, sulla “debolezza delle istituzioni”,
“sulla crescente povertà ed esclusione sociale”, ma anche “sull'indebitamento dello
Stato”, sul “clientelismo politico”, sul “federalismo iniquo” e sulla drammatica situazione
dei “giovani senza lavoro e prospettive”: insomma, su tutto ciò che manca per elaborare
e realizzare, come “comunità umana del dialogo e del consenso”, un ‘progetto-Paese’
in cui si lavori uniti per “raggiungere delle mete condivise”.
Una
priorità per i vescovi è il “recupero del rispetto per la famiglia e per la vita in
tutte le sue tappe”. Ricordando l’importanza dell’indipendenza dei poteri dello Stato,
i presuli ritengono un bisogno immediato anche quello di lavorare per rinforzare le
“istituzioni repubblicane e le organizzazioni” intermedie della società. I presuli
argentini ritengono che sia arrivata l’ora di procedere “ad una riforma politica”
profonda “per migliorare il sistema politico e soprattutto la qualità della democrazia”.
“Occorre una democrazia non solo formale bensì reale e partecipativa”, ma anche “nuovi
dirigenti” e nuova linfa “per la vitalità dei diversi partiti”. I vescovi concludono
questo capitolo delle loro riflessioni difendendo il federalismo in quanto sana, “necessaria
e giusta autonomia”. Ma chiedono che si vada oltre la semplice dimensione giuridico-amministrativa
per “raggiungere anche la compartecipazione nelle risorse”. Si devono cioè promuovere
“le economie regionali e l’uguaglianza di condizioni di vita, di libertà” e di opportunità
educative e sanitarie.
“La nostra patria – si legge
infine nel documento - è un dono di Dio affidato alla nostra libertà, un regalo che
dobbiamo custodire e perfezionare. Potremmo crescere in modo sano come nazione se
saremo capaci di riaffermare la nostra identità comune”. Citando il documento di Aparecida,
i presuli si congedano dicendo: “Come cristiani siamo portatori di buone notizie per
l’umanità e non siamo profeti di sventura. Siamo tutti davanti ad una grande opportunità.
Dobbiamo approfittare di questo momento privilegiando l’edificazione del bene comune
senza sprecarlo con i nostri interessi egoistici o con condotte intransigenti che
frammentano e dividono”.