Il cardinale Ruini chiude il seminario di studi “Giovani e Cultura”
“Possiamo affermare che il rapporto tra fede e cultura ha cominciato ad esistere prima
ancora di essere pensato come tale… La Chiesa e il progetto culturale in senso cristiano
(nato ufficialmente nel 1994) in questi 14 anni si sono confrontati con due fondamentali
linee di sviluppo, che rappresentano al tempo stesso una sfida e un’opportunità: la
nuova questione antropologica e l’educazione dei giovani”. Ad affermarlo, ieri a Roma,
il cardinale Camillo Ruini (“padre fondatore” del progetto culturale) a chiusura del
seminario di studio “Giovani e Cultura” proposto dal Servizio nazionale di pastorale
giovanile e dal Servizio per il progetto culturale della CEI. Da venerdì a domenica
un centinaio di partecipanti da tutta Italia, riferisce il Sir, si è confrontato su
come “pensare e comunicare la fede nelle agorà di oggi”. Il cardinale ha ricordato
come è giusto che la Chiesa “faccia cultura, proponendo stili di vita che orientino
soprattutto i giovani”. E affinché la cultura non si trasformi in un “monumento”,
è indispensabile una “costante elaborazione, perché – ha incalzato – la cultura deve
essere necessariamente pensata e incarnata nel contesto storico in cui si vive, sottoposto
a continui e veloci cambiamenti”. Poiché la visione dell’uomo è il fulcro di ogni
cultura ecco che la “nuova questione antropologica assume un ruolo centrale”. Ma cosa
è cambiato, in questi anni, nella visione dell’uomo? “I vescovi – ha affermato il
cardinale rivolgendosi ai giovani – sempre più hanno preso coscienza del fatto che
c’è un nuovo modo di agire sull’uomo. Lo sviluppo tecnologico ora è direttamente applicato
all’uomo, per cui le biotecnologie intervengono sia sul corpo che sulla mente”. “Le
due encicliche di Benedetto XVI sono punti di riferimento irrinunciabili – ha continuato
- che permettono di aprire gli orizzonti della razionalità, facendo vedere la pienezza
dell’amore cristiano, che sa declinarsi in ogni aspetto, dall’affettività alla carità”.
L’importante è che “la nostra pastorale affronti le sfide culturali più impegnative,
senza dare per scontato che alcuni temi già si conoscano e non interessino”. Ma da
educatori cosa fare se i giovani proprio non vogliono ascoltare? “È difficile – ha
concluso il cardinale – ma dobbiamo essere noi i primi a credere fermamente in quello
che annunciamo e testimoniamo”. (V.V.)