Crisi economica al centro dell'agenda del presidente eletto Obama. Il messaggio dei
vescovi
“Una scelta di cui gli americani devono essere orgogliosi”. Così George W. Bush si
è felicitato con Barack Obama per aver vinto la corsa alla Casa Bianca. Intanto, fervono
le attività politiche per formare la nuova squadra di governo; e già arrivano le prime
nomine. Al centro dell'agenda di Obama c'è la crisi economica. Da Chicago, ci riferisce
Elena Molinari:
Non ha
tempo per riposare sugli allori, il neopresidente eletto americano. C’è il passaggio
di potere di cui occuparsi, un intero gabinetto di ministri da nominare e c’è una
crisi finanziaria da affrontare. Per questo, prima ancora del suo insediamento, il
20 gennaio, Barack Obama potrebbe partecipare al vertice del G20 sulla crisi, in programma
a Washington il 15 novembre. Lo stesso George Bush, ieri, congratulandosi con il successore,
lo ha infatti invitato ai lavori del Summit. E il direttore generale del Fondo Monetario,
Dominique Strauss-Kahn,si è detto impaziente di lavorare con Obama.
L’afroamericana segretario di Stato uscente, Condoleezza Rice, ha ammesso invece di
essersi commossa alla notizia della vittoria del democratico, un rivale del suo partito.
E Colin Powell, altro ex membro dell’amministrazione conservatrice Bush, ha parlato
di giornata storica. Intanto è stata confermata la prima nomina del nuovo presidente,
il deputato di Chicago Rham Emanuel,che ha accettato il posto di capo
di Gabinetto della nuova amministrazione.
Barack Obama
eredita una politica estera dominata, tra l’altro, dalle crisi legate alla lotta al
terrorismo, a due guerre ancora in corso, al conflitto israelo-palestinese, al confronto
sugli armamenti. L’obiettivo della nuova amministrazione della Casa Bianca sarà quello
di risollevare l’immagine globale degli USA? Risponde il prof. Maurizio Simoncelli,
esperto di geopolitica dei conflitti per Archivio Disarmo, intervistato da Giada
Aquilino:
R.
– Certamente, da un lato è quello di risollevare l’immagine, ma dall’altro lato è
proprio di far ritrovare un ruolo propositivo e vincente agli Stati Uniti, perché
non dimentichiamo che l’eredità di Bush è quella di due guerre iniziate, in Iraq e
Afghanistan, e non vinte, una crisi economico-finanziaria devastante e una opinione
internazionale nei confronti degli Stati Uniti che si è profondamente deteriorata.
D.
– Per quanto riguarda le guerre in corso, stando alle dichiarazioni di Obama, la priorità
ora diventa l’Afghanistan. Come cambieranno le strategie statunitensi?
R.
– Viene riconosciuto che tutto considerato l’Iraq è stato un errore ed è difficile
uscirne, tant’è vero che non si parla di un’uscita immediata ma si parla di un’uscita
valutata intorno ad un anno, un anno e mezzo. Poi si parla di concentrarsi in Afghanistan
e sul versante pakistano. Rimane sempre da vedere come penserà Obama di risolvere
questi problemi che – ricordiamo – sono sempre legati ad una matrice di terrorismo
fondamentalista islamico.
D. – Che sfida lanciano
Paesi come la Russia e la Cina agli Stati Uniti?
R.
– Quando Bush entrò per la prima volta nella Casa Bianca, si trovò di fronte intanto
una Russia decisamente indebolita che faticava a funzionare, proprio come Stato. Oggi,
Obama si trova di fronte una Russia, invece, che sta nuovamente candidandosi ad essere
una superpotenza a livello internazionale, con una presa di posizione da parte delle
autorità di Mosca che hanno pubblicamente dichiarato l’installazione di una serie
di nuovi missili, anche in conseguenza alla dislocazione di basi missilistiche statunitensi
ai confini con la Russia – pensiamo, appunto, al caso della Polonia e ad altri Stati
dell’Europa dell’Est. Si tratta di riallacciare un dialogo, tenendo presente che ci
sono invece una serie di altri attori sullo scenario mondiale. Poi, c’è la Cina che
anche dal punto di vista economico si sta avviando a diventare il vero, grande ‘competitor’
degli Stati Uniti.
Da parte sua, la Chiesa guarda con
attenzione al prossimo capo della Casa Bianca. I vescovi degli Stati Uniti hanno fatto
gli auguri a Barack Obama definendo "evento storico" l'elezione di un afro-americano
alla guida del Paese. Lo hanno quindi esortato a difendere i deboli e a sanare le
divisioni, dicendosi pronti a collaborare nella difesa e nel sostegno della vita e
della dignità di ogni essere umano. Ascoltiamo, al microfono di Susan Hodges,
il vescovo di Rockville Center, William Francis Murphy, responsabile del Comitato
Giustizia e Pace della Conferenza episcopale statunitense:
R. – Well, it’s
very clear... E’ molto chiaro che per l’intera nazione questo sia un momento
storico che certamente segna la fine, in modo pubblico e rilevante, della lunga storia
di razzismo, a livello ufficiale, in questo Paese. Rimane comunque un’altra questione:
rimane da vedere che impatto avrà tutto questo su quei gruppi di afroamericani che
continuano a trovarsi in circostanze difficili. E questo rimanda alla questione della
povertà: continuiamo ad avere questo spettro della povertà in alcune parti del nostro
Paese che colpisce in maniera non proporzionale gli afroamericani. Ma non possiamo
ignorare il fatto che questo sia un momento storico nella storia della nostra nazione.
D. – Quindi, secondo lei, cosa significa la vittoria
di Obama, per gli Stati Uniti ed anche per la comunità internazionale?
R.
– It strikes me that it means a new direction… Percepisco in maniera forte
che si tratta di una nuova direzione, ovviamente, sia internamente che sul fronte
internazionale e significa la fine dell’amministrazione Bush, che era diventata un’amministrazione
impopolare, sia per il Paese che per il resto del mondo. Rimane da vedere come questo
nuovo presidente sarà in grado di condurre la popolazione verso una politica che unisca
il Paese e come guiderà le questioni internazionali.
D.
– Ora, certamente la più grande sfida che dovrà affrontare il nuovo presidente eletto
sarà la crisi finanziaria globale. Qual è il messaggio della Chiesa al presidente
eletto Obama?
R. – Well, I think, that first of all… Bene,
penso, prima di tutto, che questa sia una delle questioni più pressanti sulla quale
in questo momento si concentra la nostra attenzione. Credo francamente che l’amministrazione
attuale abbia affrontato la crisi in un modo che ha avuto una sua coerenza e credo
che lo stia facendo in un modo che dovrebbe portarci a superare la sfiducia che gli
speculatori di Wall Street hanno ingenerato. Credo che il signor Obama dovrà rassicurare
la gente attraverso le persone che sceglierà attorno a sé, perché penso nessuno si
aspetti che egli abbia un piano economico già pronto; la Chiesa seguirà tutto ciò
con molta attenzione. Noi in quanto Chiesa diremo la nostra parola su questa questione,
come anche su molte altre questioni che, francamente, sono altrettanto importanti
se non ancora più importanti: vedremo come il signor Obama sarà capace di unificare
la nostra società e di essere la voce che unisce la brava gente, non solo di questa
nazione, ma anche della comunità delle nazioni.
Oltre
al voto presidenziale e per il rinnovo del Congresso, in alcuni Stati si è votato
anche per un referendum su aborto o nozze gay. I matrimoni omosessuali sono tornati
fuorilegge, con una percentuale del 52%, in California, lo Stato più popoloso dell'Unione,
che non di rado serve da modello per il resto degli Stati Uniti. Anche in Florida
una stragrande maggioranza ha votato contro le nozze gay. Gli elettori del Colorado
e del South Dakota hanno respinto il referendum anti-aborto mentre il Michigan ha
approvato l’uso della mariujana a scopo terapeutico e il Massachusetts ha depenalizzato
il possesso di meno di 30 grammi di 'erba' secondo le prime proiezioni elaborate dai
media. I risultati sono stati i primi ad arrivare tra le 158 iniziative proposte al
voto degli elettori in 36 Stati.