La Festa di Tutti i Santi ricorda all'uomo il suo destino di felicità e bellezza:
la riflessione di mons. Luigi Negri
Il Papa ha parlato dunque all'Angelus dello stupore che si prova dinanzi alla fantasia
del Creatore per la meravigliosa varietà dei Santi. Ma qual è la cifra, la caratteristica
comune ad ogni esperienza di santità? Al microfono di Amedeo Lomonaco risponde
il vescovo di San Marino – Montefeltro,Luigi Negri:
R. – La cifra
comune è la certezza che la Chiesa custodisce da duemila anni: la vita umana, vissuta
nella fede, è una vita positiva. Credo che poche feste come questa abbiano questa
straordinaria capacità di polarizzare l’attenzione degli uomini sull’unica cosa che
gli uomini non debbono mai dimenticare: il loro destino che è un destino di bellezza,
di gioia e di felicità, di giustizia la cui esigenza è scritta nel cuore dell’uomo.
La santità è l’esperienza di un’antropologia adeguata.
D.
- I Santi sono un inno del cielo che risuona in terra. Come seguire la strada della
salvezza in un mondo spesso dilaniato da miserie e falsi valori?
R.
– Offrendo la testimonianza già sulla terra di una vita diversa, di una vita che conosce
il senso del proprio cammino. Una vita che non si spaventa di fronte alle difficoltà
e che condivide – come si legge nella “Gaudium et Spes” – tutta la positività e tutta
la negatività dell’esperienza umana. I Santi hanno conquistato la santità nell’esperienza
quotidiana vissuta per il Signore, non per se stessi.
D.
- Tutti sono chiamati alla santità. Quando e perché nasce l’intima aspirazione alla
santità?
R. – Nasce non come desiderio della santità,
come realizzazione di un proprio ideale. Nasce dal desiderio di una immedesimazione
sempre più profonda e radicale con il Cristo, che è l’unico Santo. E allora, seguendo
il Santo si è partecipi della sua santità; seguendo il Puro, veniamo purificati; seguendo
il Paziente, diventiamo capaci di pazienza. La santità è immedesimazione totale con
Gesù Cristo e questo è quello che ci rende inesorabili nel desiderarlo perché desideriamo
un Altro che compie e non desideriamo ‘compierci’ secondo le nostre misure.
D.
– La santità, oltre ad essere in molti casi intessuta di eroismi, è anche espressione
di una quotidianità ordinaria vissuta alla luce del Vangelo…
R.
– Uno dei punti più belli, commoventi e appassionanti del Concilio Vaticano II, è
il richiamo alla santità comune del popolo di Dio: la santità dei miei genitori, che
non saranno mai canonizzati, la santità di quel popolo che incontro nelle mie visite
pastorali nel Montefeltro; un popolo che ha saputo affrontare le circostanze più dolorose
come la fame, la carestia, le guerre. Hanno affrontato tali prove affermando che erano
del Signore e appartenevano al Signore: il Santo è uno che non si sente mai sconfitto,
non perché si senta forte, ma perché è forte in Colui che lo rende forte.
D.
– Eccellenza, quali sono i Santi che, in particolare, lei segue come fari per illuminare
i passi della sua vita?
R. – Seguo molto San Giuseppe,
chiedendogli di poter custodire il Verbo di Dio nella carne della Storia come è la
Chiesa; poi seguo San Francesco, perché ha visto valorizzare tutti gli aspetti della
vita umana, compresa la morte. E poi, San Riccardo Pampuri, perché mi sembra sia stato,
nella sua insonne dedizione alla cura dei malati, l’immagine della Chiesa che deve
curare l’uomo di ogni tempo, e quindi anche di questo tempo. Deve curarlo perché dell’uomo
la Chiesa custodisce il senso profondo, il destino. E quindi può farsi carico di tutti
i suoi problemi.
D. - Nella nostra società la Festa
di Tutti i Santi tende oggi ad essere affiancata a un fenomeno apparentemente innocuo,
Halloween, emblema e icona delle zucche ma specialmente delle teste che a volte in
esse si perdono…
R. – Sì, è una grottesca caricatura.
In questa festa appare assolutamente chiaro che l’alternativa alla fede è il vuoto
o, come dice il mio grande amico, il filosofo Robert Spaemann, “se si abbandona la
strada di Cristo si incomincia a battere il sentiero polveroso del nulla”.