2008-10-30 15:58:00

Rapporto della COMECE sul cambiamento climatico


Il cambiamento climatico “è anzitutto una questione etica”. “Per risolvere il problema ecologico occorre ripensare alcuni modelli organizzativi della società, i nostri stili di vita ed il nostro sistema di valori”. Ad affermarlo è il Gruppo di esperti istituito nello scorso mese di gennaio dalla Commissione degli episcopati della Comunità Europea (COMECE), che ieri pomeriggio ha presentato a Bruxelles il rapporto intitolato “Una riflessione cristiana sul cambiamento climatico”. Nel documento si sottolinea che occorrono “una leadership politica forte” ed un dibattito “che potrebbero poggiarsi sulla teologia cristiana”. Il presidente della COMECE, mons. Adrianus Herman van Luyn, ha affermato che la “crisi finanziaria e le difficoltà economiche” non possono diventare un pretesto usato dai Paesi europei “per abbandonare politiche in favore dell’ambiente”. Gli Stati più poveri - ha aggiunto il presule - “pur non essendo responsabili del cambiamento climatico in atto, si trovano a pagare le conseguenze di questa irresponsabile gestione delle risorse”. All’Unione Europea, in particolare, si chiede di essere “una voce forte” in favore delle generazioni future, che pagheranno “il tributo più pesante” per il cambiamento climatico. Si deve comprendere – aggiungono gli esperti della COMECE – che tale fenomeno “non è che uno dei sintomi dell’insostenibilità dello stile di vita, dei modelli di produzione e di consumo sviluppati nel mondo industrializzato”. Per questo – si legge nel rapporto ripreso dal SIR – la sfida dell’ecologia richiede “l’adozione di nuovi stili di vita, meno dipendenti dai beni materiali” e maggiormente legati a “beni culturali e relazionali”. La Chiesa cattolica e tutte le tradizioni cristiane – si sottolinea infine nel documento – “sono le più idonee a diffondere questi cambiamenti”, sia “attraverso proposte concrete”, sia attraverso “l’esempio”. I cristiani sono chiamati a “prendere le distanze dallo stile di vita centrato sui consumi” e a sviluppare “una relazione responsabile” con gli spazi in cui vivono: non si tratta “di rinunciare al desiderio dei beni materiali ma di operare un discernimento tra l’essenziale ed il superfluo”. (A.L.)







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