Le conclusioni del Sinodo dei Vescovi sulla Parola di Dio: intervista con padre Rupnik
Oggi emerge sempre di più l’esigenza “di un ascolto più intimo di Dio, di una conoscenza
più vera della sua parola di salvezza”: è quanto ha detto ieri Benedetto XVI nella
Basilica di San Pietro durante la Messa celebrata a conclusione del Sinodo dei Vescovi
sulla Parola di Dio. Ma quale bilancio si può fare di questa Assemblea sinodale? Ascoltiamo
il teologo gesuita padre Marko Ivan Rupnik, che ha partecipato ai lavori in
qualità di esperto. L’intervista è di Sergio Centofanti.
R. - E’ stato
un evento grande ed importante per la Chiesa, intanto perché il Sinodo ha fatto vedere
una grande intesa tra i vescovi, tra i Padri sinodali, sulle questioni fondamentali
relative alla Parola di Dio. Poi è emerso che la “Dei Verbum” del Concilio Vaticano
II è veramente entrata nella vita della Chiesa. Questo documento ha cambiato tante
cose nel senso che ha contribuito a dare una grande vitalità alla Chiesa. Altro tema
importante è stata la richiesta di un equilibrio nell’esegesi, l’esigenza di non vivere
una specie di dualismo tra un’esegesi accademica e scientifica e un’esegesi spirituale:
al Sinodo è stato chiesto di evitare il rischio di questo dualismo che alterna un’esegesi
razionalista e un’esegesi impregnata di fideismo astratto. Ecco, questo mi sembra
sia stato un altro elemento estremamente importante che è stato totalmente accolto
come un dato di fatto dai Padri sinodali.
D. – La
Parola di Dio, è stato detto, è più di uno scritto, è una Persona, è Cristo stesso.
Il cristianesimo non si può dire religione del Libro ma della Parola vivente di Dio…
R.
– Assolutamente. Ricordo che una volta ho chiesto ai miei studenti, prendendo la Bibbia,
quale fosse la cosa più importante del libro che tenevo in mano. Mi hanno dato tante
risposte. “Guardate – ho risposto - è molto semplice: è il dorso di questo libro.
La Bibbia è fatta di tanti libri e c’è questo dorso che unisce tutti questi libri
in un libro unico e questo dorso è Cristo”. Io penso che questo è fondamentale perché
questo ci impedisce di scivolare negli astrattismi e nella sola prassi che diventa
un moralismo ideologico. No, la Parola ci unisce ad una Persona che è il nostro Salvatore.
Allora si tratta di una relazione interpersonale: quando ci si accosta la Bibbia,
ci si accosta ad una Persona vivente e, come dice Origene nel commento al Cantico
dei Cantici, non bisogna accostarsi con violenza ma con quell’amore che caratterizza
il rapporto tra l’amata e l’amato nel Cantico dei Cantici, perché una persona si rivela
e ti parla quando si sente amata. Perciò agli umili si aprono i misteri della sapienza
del Verbo, mentre ai superbi Dio resiste.
D. – Il
Papa invita a rilanciare la Lectio divina, la lettura orante e meditata della Sacra
Scrittura. Un credente come può affrontare, in modo fruttuoso, la lettura della Parola
di Dio?
R. – Ci sono tante vie, però per poter meditare,
per poter “nuotare” nella Parola di Dio, bisogna “mangiarla” tanto, per usare le parole
del profeta, bisogna “mangiare” il libro. Se noi conosciamo appena tre brani qua e
là nella Bibbia è difficile meditare. E poi non va dimenticato, neanche per un istante,
che il passaggio dalla Parola alla carne, cioè alla vita, alla visibilità della Parola,
alla concretezza storica della Parola, l’artefice principale è lo Spirito Santo. Dunque,
non esiste nessuna attuazione, nessuna realizzazione della Parola nella storia, come
nessuna comprensione della Parola, senza lo Spirito Santo, altrimenti si può prendere
la Parola come un testo di qualsiasi programma ideologico e poi ci sforziamo di metterlo
in pratica. Allora, che differenza c’è tra la Parola ed un’altra cosa?
D.
– Il Papa esorta a curare molto il silenzio perché “Dio parla attraverso il silenzio”,
come “una brezza leggera”. “Le nostre parole - dice il Papa - non coprano la voce
di Dio”…
R. – Oggi il silenzio è una questione praticamente
assente. Io mi ricordo che una volta hanno chiesto al regista russo Andrej Tarkovskij
che cosa consigliasse, lui, ai giovani d’Europa e lui ha detto: “Che imparino il silenzio!”.
Cioè, la voce di Dio è la più silenziosa perché è la più mite, la meno violenta, e
se noi viviamo nel frastuono continuo del mondo, è chiaro che non capiremo mai qual
è la Parola di Dio e correremo dietro a tante cose battezzandole come di Dio ma non
sono di Dio. Invece, il monaco, come anche tante mamme, tante nonne, tante persone
semplici che sono messe nella situazione del silenzio, ci possono dare una mano e
in comunione con loro, impariamo anche noi ad ascoltare il cuore: impariamo la sera,
prima di andare a letto, a chiudere tutto, a spegnere tutto, restando un attimo nel
totale silenzio della stanza, per ascoltare il cuore. Impariamo così, pian piano,
a scendere, scendere oltre questi strati di suoni, rumori, dolori, paure, per arrivare
al silenzio.