La Somalia ancora oppressa dallo stallo politico e da una drammatica situazione umanitaria
In Somalia continua lo stato d’incertezza sul futuro politico del Paese. Di fronte
alle speranze innescate con la formazione all’inizio dell’anno del governo presieduto
dal colonnello Nur Adde, la situazione si è andata complicando e appare ormai inevitabile
lo slittamento delle elezioni previste per il 2009. Quali le ragioni dell'impasse? Lucas
Dùran lo ha chiesto a Mario Raffaelli, inviato speciale del governo italiano
per la Somalia.
R. – La speranza
si era accesa dopo la firma il 9 giugno a Gibuti di un accordo fra il governo provvisorio
e l’Alleanza per la liberazione della Somalia, sotto la quale si erano raggruppati
i diversi oppositori all’intervento etiopico e al governo transitorio. E questa intesa
prevedeva che nel giro di quattro mesi si potesse arrivare ad una cessazione delle
ostilità e ad una forma di accordo politico su come affrontare l’ultima parte di questi
cinque anni di transizione. Questo periodo, che scadrà nell’agosto del 2009, prevedeva
sia delle elezioni multipartitiche democratiche sia un referendum su un testo costituzionale
di tipo federale.
D. – Di chi sono le responsabilità?
R.
– Le responsabilità sono in parte dovute alle parti somale, perchè esistono delle
divisioni all’interno dei due campi, sia all’interno sia nell’opposizione. Nell’opposizione
questa divisione si è addirittura manifestata con una rottura aperta. In più, sul
terreno, esistono dei gruppi cosiddetti Shabab, che sono i gruppi islamici più radicali,
che non hanno mai condiviso i tentativi di pacificazione. Va detto che a queste difficoltà,
legate agli interlocutori somali, si aggiunge anche una certa lentezza della comunità
internazionale.
D. – Di fronte a questa situazione,
cosa accadrà delle elezioni previste per il 2009?
R.
– Io credo che sia inevitabile avere uno spostamento delle elezioni, perchè il tempo
a disposizione non è sufficiente nella condizione somala per avere delle elezioni
realmente democratiche e rappresentative. Il problema è vedere se questo prolungamento
sarà il frutto di tale accordo fra le due parti. Bisognerà capire quindi se sarà un
prolungamento credibile. Per questo, di fronte all’aggravarsi della situazione, proprio
in questi giorni, ci saranno due nuove occasioni. Sempre a Gibuti, sono stati riconvocati
i due comitati congiunti per cercare di uscire da questo blocco; si spera che questa
volta anche i dettagli del cessate il fuoco vengano concordati. Dall’altra parte ci
sarà subito dopo, il 29 e il 30 di questo mese, a Nairobi, un meeting straordinario
dell’IGAD, l’Organizzazione regionale dei Paesi del Corno d’Africa, che aveva sponsorizzato
il processo di transizione somalo. Questo vertice straordinario, con la presenza del
Parlamento somalo e, a latere, anche dei rappresentanti dell’opposizione, cercherà
di dare un supporto forte, perchè sarà a livello di capi di Stato, al processo di
Gibuti.
Se la situazione politica appare in stallo,
la Somalia vive una condizione delicatissima a livello umanitario. Le organizzazioni
internazionali e non governative operano in condizioni difficili e di grave rischio,
come dimostrano i recenti episodi di uccisioni di due operatori locali dell’Unicef
e del Programma alimentare mondiale. Novella Maifredi, responsabile
dei progetti in Somalia per il COSV, organizzazione umanitaria di cooperazione
ed emergenza internazionale presente nel Paese da oltre dieci anni:
R.-
Credo che questo sia uno dei momenti peggiori che la Somalia sta attraversando. Al
momento, non abbiamo personale espatriato sul territorio somalo, ma stiamo portando
avanti i progetti con il personale locale.
D. –
Come vive la gente somala con la quale interagite? Cosa vi riportano i vostri operatori
locali in proposito?
R. – Ci riportano una preoccupazione
che ormai è cresciuta in maniera esponenziale nelle ultime settimane, proprio perché
questi attacchi anche agli operatori somali, la presenza di personaggi non ben definiti
nella comunità, e quindi nelle varie città, è fonte di estrema preoccupazione. Se
anche il personale somalo e le comunità temono per la propria incolumità, perché hanno
paura di essere oggetto di attacchi, diventa veramente difficile portare aiuti, in
una situazione che però ne avrebbe estremamente bisogno.