Anno Paolino in Albania: la testimonianza di un sacerdote albanese
Una spiritualità paolina sempre più diffusa e il progetto di diffondere le Lettere
Paoline. Sono le sfide che la Chiesa cristiana di Albania intende perseguire nel corso
dell’Anno Paolino. Primo evangelizzatore del Paese, San Paolo è stato punto di riferimento
anche per i tanti sacerdoti e laici perseguitati durante il governo comunista. Anni
che furono di oppressione, di condanne a morte e di silenzio fino al crollo del regime,
avvenuto 18 anni fa. Un periodo di lunga sofferenza per la Chiesa che oggi vive una
nuova primavera. Ma c’è ancora curiosità per San Paolo? Al microfono di Benedetta
Capelli risponde don Marjan Paloka, sacerdote albanese:
R. – C’è
curiosità intorno alla figura storica di San Paolo perché, in Albania, stiamo vivendo
un momento importante per la riscrittura della storia. Nei 500 anni di dominazione
turca, la storia non è stata affrontata affatto come questione nazionale. La questione
dell’identità, dell’eredità spirituale e storica non esisteva. Durante il comunismo
la storia è stata affrontata per distorcerla, per presentarla in un modo falso. In
questo periodo di rilettura del passato, delle radici storiche del Paese, San Paolo
suscita molta curiosità: l’evangelizzatore delle genti è passato attraverso l’antica
Illiria, della quale faceva parte l’Albania. Secondo la leggenda, ma anche attraverso
riscontri storici abbastanza convincenti, ha anche consacrato il primo vescovo di
Durazzo, San Cesare martire.
D. – La Chiesa in Albania
ha vissuto anni difficili, di persecuzione, a causa del regime comunista. C’è oggi
la volontà di evangelizzare nuovamente sull’esempio di San Paolo?
R.
– Sì certamente. Devo dire che io ho una lettura positiva della devastazione che
il comunismo ha lasciato dietro di sé. In qualche modo ci ha lasciato un Paese spiritualmente
arido ma con un’aridità che non vuole rimanere tale. C’è, dunque, proprio il desiderio
della “pioggia” in questo deserto spirituale del Paese e, sicuramente, è da cogliere
l’opportunità di proporre la riflessione paolina, già accolta da parte della Chiesa,
ma forse con maggiore slancio rispetto ad adesso.
D.
– A San Paolo si riferiva anche Madre Teresa di Calcutta, albanese di nascita. Una
suora che era speranza per la Chiesa d’Albania, sofferente a seguito del regime comunista...
R.
– Madre Teresa e San Paolo rimangono due figure di riferimento. Madre Teresa ha sofferto
e subito l’ingiustizia di rimanere fuori del suo Paese per tantissimi anni durante
il comunismo, e sicuramente ha trovato forza in San Paolo, nell’apostolo che ha accettato
con gioia le persecuzioni per Cristo. Lei ha anche dato l’esempio all’Albania: sotto
la persecuzione, infatti, il cuore del cristiano può aprirsi anche in modo più fruttuoso
alla grazia di Dio.
D. – Il sangue dei martiri albanesi
è stato effettivamente seme di nuovi cristiani...
R.
– Sì, sicuramente. Io ho sperimentato, e tutti in Albania lo abbiamo fatto, la gioia
di una corsa verso la Chiesa. Una volta entrati è stato un arricchimento verso la
vita spirituale proficua e valida sia per loro che per gli altri. Sono migliaia e
migliaia le persone che hanno scoperto il battesimo, che hanno scoperto la bellezza
della comunità. E sicuramente è frutto del sangue dei martiri albanesi, i quali nel
silenzio sono stati testimoni validi della coerenza che il Vangelo di Cristo immette
nel cuore dell’uomo. Coerenza è quella virtù della quale ha molto bisogno il mondo
di oggi, soprattutto i giovani, per cui i frutti di questo seme piantato attraverso
il martirio di molti sacerdoti e di alcuni laici si vede adesso nelle comunità giovanili
delle chiese albanesi.