2008-10-25 08:56:57

Accorato appello dal Sinodo: pace, giustizia e libertà religiosa per la sopravvivenza dei cristiani d'Oriente


Un accorato appello per la pace, la giustizia e la libertà religiosa in Terra Santa, Libano, Iraq e India, è stato consegnato ieri pomeriggio al Papa dai capi delle Chiese Orientali Cattoliche che partecipano al Sinodo dei Vescovi. L’appello, intitolato, «Cristo è la nostra pace», chiede ai responsabili delle nazioni di sostenere le minoranze cristiane in questi Paesi minacciate da violenze e povertà. Ce ne parla Sergio Centofanti.RealAudioMP3

 
Un “umile ma accorato appello” lo definiscono i firmatari del documento: “Avvertiamo nei cuori un fremito – scrivono - per le sofferenze di tanti nostri figli e figlie dell'Oriente: bambini e giovani; persone in difficoltà estrema per età, salute ed essenziali necessità spirituali e materiali; famiglie sempre più tentate dallo sconforto per il presente e per il futuro. E sentiamo il dovere di farci interpreti delle loro giustificate attese perché una vita dignitosa sia presto garantita a ciascuno in una proficua convivenza sociale”. Viene espressa profonda riconoscenza al Papa per aver elevato così tante volte la sua voce in favore dei fratelli e delle sorelle dell'Oriente perché possano vivere nella pace, nella libertà, nella verità e nell'amore.

 
“Opera della giustizia è la pace! È un imperativo – affermano i responsabili delle Chiese Orientali - al quale non possiamo e non vogliamo sottrarci. Chiediamo, perciò, in particolare per la Terra Santa, che diede i natali a Cristo Redentore, per il Libano, l'Iraq e l'India la pace nella giustizia, di cui è garanzia una reale libertà religiosa. Siamo vicini a quanti soffrono per la fede cristiana e a tutti i credenti impediti nella professione religiosa. Rendiamo omaggio ai cristiani che recentemente hanno perduto la vita in fedeltà al Signore”. Poi tre richieste: perché tutti “pratichino il rispetto e l'accoglienza dell'altro nella vita quotidiana”; perché i responsabili religiosi predichino e favoriscano tale atteggiamento, moltiplicando le iniziative di mutua conoscenza e di dialogo; e infine “alla comunità internazionale e agli uomini di governo perché garantiscano a livello legislativo la vera libertà religiosa nel superamento di ogni discriminazione e l'aiuto a quanti sono costretti a lasciare la propria terra per motivi religiosi”. L’appello ricorda l'auspicio di Benedetto XVI: «Possano le Chiese e i discepoli del Signore rimanere là dove li ha posti per nascita la divina Provvidenza; là dove meritano di rimanere per una presenza che risale agli inizi del cristianesimo. Nel corso dei secoli essi si sono distinti per un amore incontestabile e inscindibile alla propria fede, al proprio popolo e alla propria terra» (Benedetto XVI, in visita alla Congregazione per le Chiese Orientali il 9 giugno 2007).

 
Ma sulla difficilissima situazione dei cristiani in Terra Santa ascoltiamo il Patriarca di Gerusalemme dei Latini, Fouad Twal, al microfono di Isabella Piro:

 
R. – Ormai viviamo ogni giorno in una situazione drammatica: una croce per tutte le istituzioni, per tutta la Chiesa, una croce per le famiglie, una croce per ogni persona. Questa croce non ci fa dimenticare quello che ha detto il Signore quando ci ha promesso la sua pace. Non è la pace dei politici, che tra l’altro non vogliono o non possono ottenere, ma la sua pace che è una serenità interna, una fiducia interna che Lui non ci farà mancare mai con la sua grazia, con il suo perdono, con il suo amore, con il suo sostegno. Poi la nostra forza, il nostro ottimismo, non viene dalle circostanze difficili e drammatiche che viviamo, ma viene da questa comunione con Lui, sapendo che uno non può amare la Terra Santa, vivere in Terra Santa senza la croce, che è ormai il nostro pane quotidiano. Però ci consola anche il flusso dei pellegrini condotti dai loro vescovi. Questo è bello, è davvero bello, cioè questo senso di comunione ecclesiale con la Chiesa universale, e in questo caso devo ringraziare anche la Chiesa italiana, i vescovi italiani che vengono con i gruppi – grandi gruppi – ed è una gioia vivere con loro, pregare per loro, con loro. Un grazie a tutti quanti.

 
D. – Cosa spera che il Sinodo posso fare per la Terra Santa?

 
R. – Prima di tutto vogliamo la pace, che tutti s’impegnino per questa pace, che tutti s’impegnino ad essere corresponsabili della comunità cristiana che vive là, per la loro sopravvivenza, per la loro sicurezza, per la loro permanenza, così possiamo dar loro più fiducia ed evitare questa emorragia cristiana, questa emigrazione dei nostri cristiani perché siamo rimasti un piccolissimo gregge, un niente, però il Signore è là, e ci affidiamo alla sua grazia.

 
E sempre più drammatica è la situazione della minoranza cristiana in Iraq. Cosa chiedono queste comunità ecclesiali? Ecco l’appello del Patriarca di Babilonia dei Caldei, Emmanuel III Delly, al microfono di Birgit Pottler:

 
R. – Vorremmo un appoggio morale dai responsabili di tutto il mondo, perché facciano tutto ciò che possono per donare la pace e la tranquillità al Paese. Sono contrario al fatto che si prenda la gente - i cristiani, i fedeli – dall’Iraq e si metta in altri Paesi: non vogliamo svuotare il Paese dei cristiani. I cristiani sono originari del luogo e sono elemento essenziale del popolo iracheno. Quindi, mandarli via dall’Iraq e portarli in un altro Paese non è cosa buona. Ora, l’unica cosa che manca non è la ricchezza - perché il Paese è molto ricco, anche se il popolo è molto povero - ma la pace e la tranquillità. Ciò che tutti i responsabili delle potenze occidentali e all’interno dell’Iraq possono fare è portare la pace e la tranquillità. Questo è quello che ci manca. Nessuno si è interessato prima dell’Iraq, ma da quando si sa che è un Paese ricco, ci si occupa di lui. Se fosse stato un Paese poverissimo, nessuno si sarebbe chiesto come va l’Iraq. Io però voglio ringraziare con tutto il cuore tutti i popoli che ci hanno aiutato con il loro appoggio morale ed anche materiale.







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