Accorato appello dal Sinodo: pace, giustizia e libertà religiosa per la sopravvivenza
dei cristiani d'Oriente
Un accorato appello per la pace, la giustizia e la libertà religiosa in Terra Santa,
Libano, Iraq e India, è stato consegnato ieri pomeriggio al Papa dai capi delle Chiese
Orientali Cattoliche che partecipano al Sinodo dei Vescovi. L’appello, intitolato,
«Cristo è la nostra pace», chiede ai responsabili delle nazioni di sostenere le minoranze
cristiane in questi Paesi minacciate da violenze e povertà. Ce ne parla Sergio
Centofanti. Un
“umile ma accorato appello” lo definiscono i firmatari del documento: “Avvertiamo
nei cuori un fremito – scrivono - per le sofferenze di tanti nostri figli e figlie
dell'Oriente: bambini e giovani; persone in difficoltà estrema per età, salute ed
essenziali necessità spirituali e materiali; famiglie sempre più tentate dallo sconforto
per il presente e per il futuro. E sentiamo il dovere di farci interpreti delle loro
giustificate attese perché una vita dignitosa sia presto garantita a ciascuno in una
proficua convivenza sociale”. Viene espressa profonda riconoscenza al Papa per aver
elevato così tante volte la sua voce in favore dei fratelli e delle sorelle dell'Oriente
perché possano vivere nella pace, nella libertà, nella verità e nell'amore.
“Opera
della giustizia è la pace! È un imperativo – affermano i responsabili delle Chiese
Orientali - al quale non possiamo e non vogliamo sottrarci. Chiediamo, perciò, in
particolare per la Terra Santa, che diede i natali a Cristo Redentore, per il Libano,
l'Iraq e l'India la pace nella giustizia, di cui è garanzia una reale libertà religiosa.
Siamo vicini a quanti soffrono per la fede cristiana e a tutti i credenti impediti
nella professione religiosa. Rendiamo omaggio ai cristiani che recentemente hanno
perduto la vita in fedeltà al Signore”. Poi tre richieste: perché tutti “pratichino
il rispetto e l'accoglienza dell'altro nella vita quotidiana”; perché i responsabili
religiosi predichino e favoriscano tale atteggiamento, moltiplicando le iniziative
di mutua conoscenza e di dialogo; e infine “alla comunità internazionale e agli uomini
di governo perché garantiscano a livello legislativo la vera libertà religiosa nel
superamento di ogni discriminazione e l'aiuto a quanti sono costretti a lasciare la
propria terra per motivi religiosi”. L’appello ricorda l'auspicio di Benedetto XVI:
«Possano le Chiese e i discepoli del Signore rimanere là dove li ha posti per nascita
la divina Provvidenza; là dove meritano di rimanere per una presenza che risale agli
inizi del cristianesimo. Nel corso dei secoli essi si sono distinti per un amore incontestabile
e inscindibile alla propria fede, al proprio popolo e alla propria terra» (Benedetto
XVI, in visita alla Congregazione per le Chiese Orientali il 9 giugno 2007).
Ma
sulla difficilissima situazione dei cristiani in Terra Santa ascoltiamo il Patriarca
di Gerusalemme dei Latini, Fouad Twal, al microfono di Isabella
Piro:
R. – Ormai viviamo ogni giorno in
una situazione drammatica: una croce per tutte le istituzioni, per tutta la Chiesa,
una croce per le famiglie, una croce per ogni persona. Questa croce non ci fa dimenticare
quello che ha detto il Signore quando ci ha promesso la sua pace. Non è la pace dei
politici, che tra l’altro non vogliono o non possono ottenere, ma la sua pace che
è una serenità interna, una fiducia interna che Lui non ci farà mancare mai con la
sua grazia, con il suo perdono, con il suo amore, con il suo sostegno. Poi la nostra
forza, il nostro ottimismo, non viene dalle circostanze difficili e drammatiche che
viviamo, ma viene da questa comunione con Lui, sapendo che uno non può amare la Terra
Santa, vivere in Terra Santa senza la croce, che è ormai il nostro pane quotidiano.
Però ci consola anche il flusso dei pellegrini condotti dai loro vescovi. Questo è
bello, è davvero bello, cioè questo senso di comunione ecclesiale con la Chiesa universale,
e in questo caso devo ringraziare anche la Chiesa italiana, i vescovi italiani che
vengono con i gruppi – grandi gruppi – ed è una gioia vivere con loro, pregare per
loro, con loro. Un grazie a tutti quanti.
D. – Cosa
spera che il Sinodo posso fare per la Terra Santa?
R.
– Prima di tutto vogliamo la pace, che tutti s’impegnino per questa pace, che tutti
s’impegnino ad essere corresponsabili della comunità cristiana che vive là, per la
loro sopravvivenza, per la loro sicurezza, per la loro permanenza, così possiamo dar
loro più fiducia ed evitare questa emorragia cristiana, questa emigrazione dei nostri
cristiani perché siamo rimasti un piccolissimo gregge, un niente, però il Signore
è là, e ci affidiamo alla sua grazia.
E sempre più
drammatica è la situazione della minoranza cristiana in Iraq. Cosa chiedono queste
comunità ecclesiali? Ecco l’appello del Patriarca di Babilonia dei Caldei,
Emmanuel III Delly, al microfono di Birgit Pottler:
R.
– Vorremmo un appoggio morale dai responsabili di tutto il mondo, perché facciano
tutto ciò che possono per donare la pace e la tranquillità al Paese. Sono contrario
al fatto che si prenda la gente - i cristiani, i fedeli – dall’Iraq e si metta in
altri Paesi: non vogliamo svuotare il Paese dei cristiani. I cristiani sono originari
del luogo e sono elemento essenziale del popolo iracheno. Quindi, mandarli via dall’Iraq
e portarli in un altro Paese non è cosa buona. Ora, l’unica cosa che manca non è la
ricchezza - perché il Paese è molto ricco, anche se il popolo è molto povero - ma
la pace e la tranquillità. Ciò che tutti i responsabili delle potenze occidentali
e all’interno dell’Iraq possono fare è portare la pace e la tranquillità. Questo è
quello che ci manca. Nessuno si è interessato prima dell’Iraq, ma da quando si sa
che è un Paese ricco, ci si occupa di lui. Se fosse stato un Paese poverissimo, nessuno
si sarebbe chiesto come va l’Iraq. Io però voglio ringraziare con tutto il cuore tutti
i popoli che ci hanno aiutato con il loro appoggio morale ed anche materiale.