Il Messaggio del Sinodo: la Parola di Dio sia sempre più amata e conosciuta nel mondo!
Il grazie agli esegeti, ai catechisti e ai martiri
Una lettura sinfonica a più voci: così è stato presentato stamani, nell’Aula del Sinodo,
il Messaggio conclusivo della XII Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei Vescovi
sulla Parola di Dio. A presentare il testo, è stato mons. Gianfranco Ravasi, presidente
della Commissione per il Messaggio dell’assise, che si è alternato nella lettura del
documento con altri quattro Padri sinodali. Il Messaggio, pronunciato in italiano,
inglese, spagnolo, francese e tedesco, invita ad amare e conoscere sempre di più la
Parola di Dio. Ce ne parla Isabella Piro:
Un messaggio
performativo, un appello caloroso, perché alla Bibbia ci si accosta non solo con il
rigore dell’esegesi, ma anche con il cuore: così mons. Ravasi ha presentato il Messaggio.
Un testo che è suddiviso in quattro parti, ognuna corrispondente ad una “declinazione
della Parola di Dio”: la sua voce, ovvero la Rivelazione; il suo volto, ossia Gesù
Cristo; la sua Casa, quindi la Chiesa e le sue strade, ovvero la missione. Quattro
tappe, ha detto il presule, che dall’eterno e dall’infinito ci conducono fino alle
nostre case e alle nostre città.
Nelle prime due,
il documento ricorda l’importanza della Parola divina efficace, creatrice e salvatrice,
in principio all’essere e alla storia, alla creazione e alla redenzione. Ma anche
la forza della Parola che si è fatta carne, che entra nello spazio e nel tempo ed
assume un volto umano, Gesù Cristo. Proprio per questo, allora, l’approdo alla Bibbia
avviene nell’incontro con una Persona che dà alla vita un nuovo orizzonte. Importante,
quindi, ribadire l’impegno a non cadere nel fondamentalismo esegetico che nega l’incarnazione
della Parola divina nella storia. Quel fondamentalismo, ha detto mons. Ravasi nella
conferenza stampa tenuta al termine della mattinata, che spesso pensa di aver imprigionato
la verità nelle singole parole ed ha paura di scoprire la Parola al di là di esse.
Davanti ai giornalisti, il presule ha anche auspicato che le singole Conferenze episcopali
del mondo, in base alle singole realtà del sistema didattico, aiutino a diffondere
la Bibbia nelle scuole.
Poi, nelle pagine dedicate
alla missione, l’accento viene posto sulla famiglia, intesa come spazio fondamentale
in cui far entrare la Parola di Dio, e in cui le nuove generazioni dovranno essere
destinatarie di un’appropriata pedagogia che li conduca a provare il fascino di Cristo.
E lo sguardo si sposta anche nei “bassifondi del mondo”, dove si annidano sofferenze
e povertà, umiliazioni e oppressioni, emarginazioni e miserie, malattie e solitudini.
Di fronte a tutto questo – si legge nel documento – il cristiano ha la missione di
annunciare la parola divina di speranza, attraverso la vicinanza amorosa che non giudica,
ma che sostiene, illumina, conforta e perdona.
Quindi,
l’importanza del dialogo e dell’incontro con il popolo ebraico e con l’Islam: al primo
- si legge nel Messaggio- il cristianesimo è legato dal comune riconoscimento e amore
per l’Antico Testamento, mentre il secondo offre la testimonianza di una fede sincera
nel Dio unico, compassionevole e misericordioso. E una menzione va anche al buddismo
e al confucianesimo: anche verso di loro – scrive il Messaggio - il cristiano trovi
sintonie comuni basate sul rispetto della vita, il silenzio, la semplicità, il sacrificio.
Senza dimenticare i non credenti, che si sforzano di praticare la giustizia e di amare
la bontà: a loro va offerta la testimonianza genuina degli orizzonti di verità e amore
rivelati dalla Parola di Dio.
Centrali, invece,
nella parte dedicata alla Chiesa, il valore delle omelie e del cammino ecumenico.
Ascoltiamo mons. Gianfranco Ravasi:
R.
– Abbiamo voluto sostanzialmente evocare un passo degli Atti degli Apostoli il quale
ricorda che nella casa della Parola in Gerusalemme si avevano questi elementi: da
un lato, la catechesi, la “didachè”, insegnamento della Parola, c’era la frazione
del pane, cioè l’Eucaristia, c’era la preghiera con la Parola di Dio – pensiamo ai
Salmi, per esempio – e c’era poi, alla fine, la comunione all’interno della comunità.
Ecco, se vogliamo porre l’accento sull’insegnamento, ora dobbiamo dire che fondamentalmente
l’insegnamento principale della Bibbia che i nostri fedeli ricevono è proprio nell’interno
dell’omelia, e l’omelia ha la caratteristica di essere nell’interno dell’Eucaristia.
Quindi, abbiamo l’intreccio tra questi due elementi fondamentali che anche il Concilio
Vaticano II sottolineava dicendo: “C’è un’unica mensa a cui noi ci accostiamo con
i fedeli ogni domenica e su questa mensa c’è la Parola di Dio, il pane della Parola,
il Pane del Corpo di Cristo”. L’altra realtà che abbiamo voluto evocare è che nell’interno
di questa Chiesa, anche se non in maniera piena, sono presenti però anche i nostri
fratelli ortodossi e protestanti i quali, nei confronti della Parola hanno una profonda
venerazione, un profondo rispetto, anzi: la mettono al centro della loro fede e della
loro esistenza, come è per noi. Ed è per questo motivo che possiamo dire che una prima,
reale unità viene proprio effettuata lì, in attesa dell’unità piena, attorno alla
Parola di Dio.
D. – Il messaggio contiene anche dei
ringraziamenti. A chi, in particolare?
R. – I ringraziamenti
vengono rivolti in particolare a tre generi diversi di persone. Prima di tutto, si
ringraziano gli studiosi della Parola di Dio, quindi esegeti, teologi che permettono
di scavare nella dimensione letteraria, storica della Parola, perché è una Parola
incarnata come Cristo, Verbo di Dio eterno e infinito, incarnato nella storia dell’Uomo.
Quindi, un riconoscimento della funzione che hanno anche coloro che insegnano la conoscenza
della Bibbia. Ma soprattutto, il ringraziamento va ai catechisti – e qui noi pensiamo
in maniera particolare ai Paesi di certi settori del mondo, in cui la carenza estrema
di presbiteri e di sacerdoti fa sì che i catechisti siano i veri annunciatori della
Parola: lo sono i genitori, secondo il Concilio Vaticano II, per primi, ma dobbiamo
dire che proprio nell’interno delle comunità ecclesiali sono i catechisti la grande
energia che permette che la Parola cammini ancora per le strade del mondo. Un vescovo
mi diceva che lui, per esempio, nella sua diocesi dell’America Latina aveva 16 preti
e 1.200 catechisti, il che vuol dire che la Parola passava proprio attraverso questa
testimonianza. E da ultimo, un ringraziamento va anche ai martiri della Parola, a
tutti coloro che in passato soprattutto, ma ancora ai nostri giorni, per fedeltà e
coerenza a questa Parola che hanno ascoltato sono pronti a dare non soltanto la loro
sofferenza, ma alcune volte anche la loro stessa vita.
D.
– Il messaggio fa anche riferimento all’uso di nuove tecnologie per diffondere la
Parola di Dio, anche con particolare attenzione ai giovani e ai bambini …
R.
– Forse uno dei problemi più ardui da affrontare nella cultura contemporanea è proprio
quello del linguaggio, ed è per questo motivo che dobbiamo sottolineare – e questo
messaggio lo fa – che le vie, ora, le strade della Parola non sono soltanto quelle
dei missionari, non sono quelle che noi cristiani dobbiamo fare con la nostra testimonianza
entrando nelle strade delle nostre città, ma sono anche – e tante volte dovremmo dire
“soprattutto” – le vie virtuali, le vie informatiche, la necessità di far sì che la
Parola di Dio possa essere riproposta in televisione, possa avere ancora tutta la
sua forza attraverso la ricchezza dei suoi simboli, attraverso lo splendore delle
parabole, attraverso le sue narrazioni che contengono un profondo e universale messaggio,
che soprattutto danno all’umanità la possibilità di rispondere alle domande ultime
e fondamentali dell’esistenza. D’altra parte, dobbiamo ricordare che il problema del
linguaggio diventa capitale non solo perché questo è un nuovo linguaggio, quello virtuale,
quello della comunicazione televisiva, ma diventa fondamentale perché nell’ambito
delle stesse giovani generazioni il linguaggio è profondamente mutato. La riduzione
dell’uso dei vocaboli stessi nella comunicazione, il ricorso ad alcuni vocaboli fissi,
la diversa semplificazione che si ha della realtà esige quindi una comunicazione che
diventa sempre più ardua da trascrivere, soprattutto per il giovane e anche per il
bambino. Per questo è importante ripensare, studiare, accuratamente da parte delle
comunità ecclesiali una catechesi, una comunicazione per i giovani e per i bambini.
D.
– E’ stato definito un messaggio entusiasmante e anche pieno di pathos...
R.
– Ecco, abbiamo voluto – sì – conservare anche questa dimensione – come si suol dire
– performativa, cioè non solo dare delle informazioni sulla Bibbia ma anche esprimerle
in maniera appassionata, convincente: io, proprio in assemblea sinodale, ho ricordato
questa frase del filosofo danese dell’Ottocento, Soren Kierkegaard, il quale diceva
che noi dovremmo più considerare la Bibbia come una lettera che l’innamorato riceve,
scritta dalla sua amata, perché manifesta il cuore di Dio. E questa era anche l’idea
che aveva lo stesso San Gregorio Magno quando, scrivendo al medico dell’Imperatore
Teodoro, diceva: “La Bibbia ci insegna a conoscere il cuore di Dio”. E’ necessario
perciò non soltanto la finezza teologica, il rigore esegetico, è necessario avere
anche una sintonia di passione, di sentimento, di volontà, di adesione che fiorisca,
sbocci dal cuore.