Le celebrazioni dell'anniversario della mediazione di Giovanni Paolo II nel conflitto
tra Cile e Argentina
Oltre alle commemorazioni che stanno preparando gli episcopati di Cile e Argentina
per ricordare, a dicembre, il trentesimo anniversario dell'inizio della mediazione
di Giovanni Paolo II nel conflitto fra queste due nazioni per la sovranità su tre
piccole isole nel Canale di Beagle, lunedì scorso a Buenos Aires sono state annunciate
anche le iniziative dei governi. Durante una conferenza stampa seguita all’incontro
di lavoro con la sua collega argentina Cristiana Fernández de Kirchner, la presidente
del Cile Michelle Bachelet ha confermato che il 4 e 5 dicembre nella città di Punta
Arenas, oltre 3mila chilometri a sud di Santiago e nei pressi della zona controversa,
sarà ricordato il Trattato di pace, amicizia e collaborazione che scaturì dall’accettazione
da parte dei governi cileno e argentino della proposta della Santa Sede dopo cinque
anni di delicato lavoro. Una soluzione sostanzialmente ideata dal mediatore, cardinale
Antonio Samoré, scomparso prima della fine dei negoziati nonché dall’allora segretario
di Stato cardinale Agostino Casaroli. In quest’occasione, con un’apposita dichiarazione,
saranno rinnovati i successi del Trattato internazionale firmato il 29 novembre 1984
e ratificato con il solenne scambio degli strumenti in Vaticano il 2 maggio 1985.
Questa commemorazione non solo ricorderà il terribile pericolo scongiurato grazie
all’opera di Giovanni Paolo II che evitò una guerra fratricida tra due eserciti potenti
e ben armati, ma soprattutto farà luce sui tanti frutti che la pace e l’amicizia
hanno dato ai due popoli in questi anni di integrazione e collaborazione, a dimostrazione
di quanto già, in una lettera ai vescovi delle due nazioni, scriveva Giovanni Paolo
I il 20 settembre 1978. “Occorre far prevalere le ragioni della concordia – sottolineava
- su quelle dell’odio e della divisione che lasciano dietro solo tracce di distruzione”.
Successivamente i governi dell’epoca chiesero una mediazione al nuovo Papa Giovanni
Paolo II, sotto la pressante richiesta degli episcopati e delle angosciate opinioni
pubbliche dei due Paesi che vedevano l’avvicinarsi vertiginoso di un scontro armato.
Giovanni Paolo II, nel 1987 a Montevideo, tre anni dopo la firma degli accordi di
pace disse: “Oggi ringraziamo con fervore Dio, e ci rallegriamo tutti, perché, invece
di ricorrere alla forza distruttrice delle armi, i responsabili di quei due popoli
hanno avuto la grandezza d’animo di scegliere il dialogo e il negoziato, decisi a
superare le tensioni secondo criteri di equità e, al di sopra di tutto, a garantire
la pace”. Papa Wojtyla in quella storica circostanza aggiunse alcune riflessioni che
sono quelle più adatte a definire il senso delle prossime celebrazioni: “È stata quella
una scelta aperta e decisa, volta a ricercare soluzioni non violente ai conflitti
internazionali e che onora coloro che ne furono protagonisti. È stata una lezione
pratica e convincente – continuava - che gli uomini e le nazioni, se davvero lo vogliono,
possono convivere in pace, facendo prevalere la forza della ragione sulle ragioni
della forza. È stata la conferma che la storia non è retta da impulsi ciechi, ma che
dipende piuttosto, nel suo divenire, dalle decisioni giuste e responsabili adottate
liberamente dagli uomini. Di conseguenza la guerra non è qualcosa di fatale e inevitabile”.
Giorni fa, Benedetto XVI in un messaggio in occasione della Giornata commemorativa
svoltasi presso l’Università Cattolica Argentina, riprendeva il medesimo pensiero
dicendo che “la mediazione continua ad essere un paradigma da proporre all’attenzione
della Comunità internazionale. Essa ha dimostrato, insieme alla pazienza e alla responsabilità
delle parti, come in ogni controversia il dialogo non pregiudica i diritti e amplia
invece il campo delle possibilità ragionevoli di composizione delle divergenze”. (A
cura di Luis Badilla)