La Chiesa ricorda i 50 anni della morte del cardinale Celso Costantini, primo delegato
apostolico in Cina
Con una celebrazione eucaristica presieduta nella Basilica di Concordia, dal cardinale
Joseph Zen Ze-Kiun, vescovo di Hong Kong, si sono aperte la settimana scorsa le manifestazioni
organizzate dalla diocesi di Concordia-Pordenone in occasione dei 50 anni dalla morte
del cardinale Celso Costantini, uno dei suoi figli più illustri. Nato nel 1876, Costantini
fu il primo delegato apostolico della Santa Sede in Cina tra il 1922 e il 1933. Nel
grande Paese asiatico rifondò la Chiesa cattolica, fino allora dipendente dai missionari.
Creato cardinale nel ’53, fu tra i più stretti collaboratori di Pio XII. Adriana
Masotti ha intervistato mons. Bruno Fabio Pighin, direttore degli eventi
in onore di Costantini:
R. – Costantini
fu colui che in sostanza rifondò la Chiesa cattolica in Cina, che prima dipendeva
dai missionari europei. Quindi, portò a Roma, per la consacrazione, i primi sei vescovi,
cui poi ne seguirono altri. Fondò l’Azione Cattolica cinese, fondò l’Università Cattolica
di Pechino, fondò la Congregazione di vita consacrata Discipulorum Domini. Oggi non
si parlerebbe di Chiesa cattolica in Cina se non fosse stato per Costantini, perché
il comunismo operò poi nel senso di espellere tutte le missioni straniere. D.
– Qual era la Cina in cui Costantini si è trovato ad operare? R.
– La Cina di allora usciva da una situazione catastrofica, con il crollo dell’ultimo
periodo dell’Impero, e quindi dominata in qualche modo dalle potenze straniere e dai
signori della guerra locali. Poi però nel 1928 emerse la figura di Chang Kai
Sek, che era lieto di poter aprire relazioni diplomatiche complete con la Santa
Sede, a cui però si opponevano allora le potenze coloniali. Costantini, tuttavia,
ebbe grandissimi onori anche da parte delle autorità cinesi. D.
– Due le parole chiave della missione del cardinale Costantini: “decolonizzazione”
e “inculturazione”... R. – Lui disse: noi non possiamo portare
il cristianesimo come una pianta, lasciandola in un vaso. Se non creiamo una piantagione
del cristianesimo sul terreno cinese, questo non attecchirà mai. E più tardi Mao non
poté fare altro che prendere atto che il cattolicesimo era una religione anche dei
cinesi. D. – Inculturazione: può fare qualche esempio? R.
– Certamente, egli operò perché anzitutto l’arte usufruisse del grande patrimonio
di civiltà cinese e quindi anche l’arte cristiana in Cina non doveva essere importata
dall’Occidente. Egli si adoperò per la lingua nativa cinese nella liturgia. Poi affrontò
la questione dei cosiddetti riti cinesi, ritenendo che gli onori attribuiti a Confucio
non rappresentassero affatto una forma di apostasia. D. – Amò
insomma i cinesi e la cultura cinese... R. – Lui addirittura
aveva cambiato il suo nome, trasformandolo in cinese: Costantini nel senso di costanza,
di pace, di serenità. Anche nelle vesti volle farsi cinese, e anche il segretario
lo volle cinese. D. – Tanti saranno gli eventi, convegni, mostre,
organizzati quest’anno in diocesi e fuori. Quali sono i due o tre momenti principali? R.
– Gli eventi principali sono costituiti dall’apertura della grande mostra, intitolata
“Il cardinale Celso Costantini e la Cina”, che vuol proprio ripercorrere questo rapporto
Oriente-Occidente. Avremo da tutta Italia, dai musei italiani, ma anche da quelli
vaticani, opere di notevole valore, che testimoniano questo tipo di legame e anche
la presenza cristiana in Cina, che risale al 13.mo secolo. Poi, convegni nel mese
di novembre. La chiusura la prevediamo il 18 gennaio, con il cardinale Dias, prefetto
della Congregazione per l’evangelizzazione dei Popoli. Infine, un elemento di grande
importanza: a Venezia, l’Università, vuole dedicare in omaggio al Costantini un convegno
su un tema di estrema importanza: “La Chiesa cattolica in Cina e il nodo della libertà
religiosa”. Questo avverrà nel mese di maggio, il 7 e 8 maggio 2009.