Paesi donatori riuniti a Bruxelles per la ricostruzione della Georgia dopo la guerra
con la Russia
Diverse istituzioni finanziarie mondiali e 67 delegazioni di Paesi si sono dati appuntamento
oggi a Bruxelles per la conferenza internazionale in favore della ricostruzione della
Georgia dopo la guerra contro la Russia. Il presidente della Commissione Europea,
Barroso, ha promesso 500 milioni di euro. Il Giappone si è impegnato per oltre 159
milioni di eruo. Ora si attendendono le altre risposte. La somma più sostanziosa,
più di 750 milioni di euro, dovrebbe essere stanziata dagli Stati Uniti. Si stima
che servano circa 2,38 miliardi di euro per far ripartire l’economia del Paese Caucasico.
Ai lavori non sono stati inviati rappresentanti russi. Ma quale significato ha questo
incontro nella soluzione della crisi tra Mosca e Tbilisi? Giancarlo La Vella lo ha
chiesto a Fulvio Scaglione, vicedirettore di Famiglia Cristiana, esperto dell’area
ex sovietica: R. – Certamente,
può essere un primo passo verso un rilassamento della crisi internazionale, che era
nata a causa della crisi specifica tra Georgia e Russia. E poi sottolineo un altro
aspetto: l’economia e la popolazione georgiana hanno bisogno di aiuti, a maggior ragione
dopo questa guerra devastante. Non bisogna dimenticare che la storia della Georgia
indipendente, cioè dall’inizio degli anni ’90, è stata segnata da guerre civili distruttive,
non solo in termini di vite umane, ma anche in termini di struttura sociale del Paese;
bisogna anche dire che la politica condotta da Saakashvili in questi anni di presidenza
non ha prodotto dei risultati folgoranti. La Georgia merita di essere aiutata a prescindere
persino dalla guerra. D. – Il fatto che non siano stati invitati
i rappresentanti russi lascia intravedere un futuro di nuove difficoltà? R.
– Io credo che questo genere di difficoltà ci saranno nel breve, medio e lungo periodo.
Naturalmente spero che non siano difficoltà che portino a conflitti armati. L’integrità
territoriale della Georgia, il valore in cui si richiamano sicuramente gli Stati Uniti
e anche l’Unione Europea, guidata da Sarkozy, di fatto non esiste più: l’Abkhazia
non si sa bene cosa sia, ma certamente non è più Georgia. Stesso discorso vale per
l’Ossezia del Sud. Quindi, questa è una realtà che la Georgia non è disposta ad accettare.
Ha degli aiuti internazionali, politici, in questo senso, ma certamente la Russia
non è disposta a fare passi indietro. Credo che le difficoltà politiche non siano
certo terminate. D. – Ricevere aiuti internazionali fa respirare
l’economia, ma non rischia anche di far entrare la Georgia in una situazione di dipendenza
da altri Paesi? R. – Il rischio sicuramente c’è. Questo, però,
è un tratto politico, economico dominante in molti Paesi che appartenevano al patto
di Varsavia e che poi si sono resi indipendenti. Adesso questi Stati si sono resi
indipendenti in senso politico, ma non in senso geografico perché sono Paesi che hanno
dei confini molto estesi con la Russia. Hanno anche dei problemi economici concreti,
pratici di relazione con la Russia. Il caso più emblematico è l’Ucraina che ha cercato
di fare una politica antirussa, dipendendo però totalmente dalla Russia per i rifornimenti
energetici e, in buona parte, per i rapporti commerciali. Questa è una realtà che
tocca meno la Georgia, ma che comunque la riguarda. E' anche la chiave di volta delle
difficoltà economiche e sociali che spesso hanno questi Paesi. Naturalmente, è molto
difficile indicare soluzioni. Certamente, però, la geografia reclama i suoi diritti.