In Belgio, inaugurata la Conferenza cristiano-musulmana, promossa dalla Conferenza
delle Chiese europee e dal Consiglio delle Conferenze episcopali d’Europa. Intervista
con mons. Sudar
Si è aperta ieri sera a Malines, città belga in provincia di Anversa, la Conferenza
europea cristiano-musulmana. Fino al 23 ottobre, gli incontri impegneranno una cinquantina
di partecipanti in rappresentanza della Chiesa cattolica, di quella ortodossa e delle
Comunità protestanti europee e di membri delle comunità islamiche di vari Paesi del
Vecchio continente. L'iniziativa - dal titolo “Essere cittadino di Europa e persona
di Fede. Cristiani e musulmani come partner attivi nelle società europee” - è promossa
dal Comitato per le relazioni con i musulmani in Europa, un organismo della Conferenza
delle Chiese europee (KEK) e del Consiglio delle Conferenze episcopali d’Europa (CCEE).
Mario Galgano, della redazione tedesca della nostra emittente, ha raccolto
a Malines la testimonianza di una delle personalità ecclesiali presenti: quella del
vescovo ausiliare di Sarajevo, Pero Sudar:
R. - Noi
siamo felici che sempre di più, in Europa, si sottolinei la necessità di conoscersi
meglio, perchè ormai la religione islamica è presente nel continente. E le religioni
non sono vere se creano problemi agli uomini. Le religioni, specialmente quelle del
Libro, nel loro patrimonio portano veramente a un grande obbligo: quello di aiutare
l’uomo a vivere da figlio di Dio già su questa terra. Senza conoscersi bene non si
può capire al meglio, non ci si può accettare vicendevolmente. E senza accettarsi
non è possibile collaborare, non è possibile dare quel contributo che le religioni
devono dare se vogliono essere credibili, se vogliono essere veramente apprezzate
ed accettate dall’uomo di oggi, dalle culture sempre più laiche. Questo è un richiamo,
un impegno che non è facile. Noi l’abbiamo sperimentato in Bosnia-Erzegovina: nonostante
abbiamo vissuto vicini per secoli, non siamo stati in grado di dare quel contributo
alla società, all’uomo: non siamo stati in grado di convincerlo che i problemi non
possono risolversi con i conflitti.