Diplomazia e dialogo, validi mezzi per dirimere i conflitti e ristabilire la pace:
lo afferma in un messaggio il Papa, a 30 anni dalla mediazione di Giovanni Paolo II
nella crisi tra Argentina e Cile
Il ricorso alla diplomazia come metodo per riportare la distensione in situazioni
di conflitto è un valore sempre necessario per il presente e il futuro del mondo:
lo insegnano molti esempi del passato, uno dei quali fu offerto esattamente 30 anni
fa anche da Giovanni Paolo II, nella mediazione tra Argentina e Cile. E’ il pensiero
di Benedetto XVI contenuto in un suo messaggio indirizzato ai partecipanti alle Giornate
sui frutti della pace, organizzate dall’Università Cattolica Argentina. Ce ne parla
Alessandro De Carolis:
Lennox,
Nueva, Picton. Per il possesso di queste tre isole, situate a ridosso della Terra
del Fuoco, 30 anni fa Argentina e Cile si spinsero fin sull’orlo di una guerra. Situate
nella parte meridionale del Canale di Beagle, che unisce l’Oceano Atlantico al Pacifico
- sulla linea di confine all’estremo sud fra i due Stati latinoamericani - questi
tre lembi di terra furono al centro di una disputa sempre più drammatica, contrapponendo
due Paesi che condividono 5 mila chilometri di frontiera. Se dalla possibile voce
dei cannoni si passò a quella dei negoziatori, e poi a formali accordi di pace, lo
si deve a Giovanni Paolo II. Eletto Pontefice da pochissimi mesi, Papa Wojtyla si
interessò personalmente della crisi, inviando sul posto un suo rappresentante speciale,
il cardinale Antonio Samoré. Il lungo confronto diplomatico che seguì sfociò, nel
1984, nella firma, in Vaticano, del Trattato di Pace ed Amicizia tra Cile e Argentina.
Quello di trent’anni fa fu “un esempio ammirevole
di costruzione della pace attraverso la via maestra e sempre attuale del dialogo”.
Sono le parole - riferite dall’agenzia Zenit - con le quali Benedetto XVI ha voluto
ricordare e celebrare l’iniziativa diplomatica intrapresa da Giovanni Paolo II, insieme
con l’allora cardinale segretario di Stato, Agostino Casaroli. Ciò che fu fatto allora,
scrive il Papa, è utile per “richiamare l'attenzione della comunità internazionale”
sul fatto che, all’interno in una disputa, il dialogo non pregiudica i diritti, ma
anzi amplia “il campo delle possibilità ragionevoli per risolvere le divergenze”,
pure accanto - riconosce il Papa - “alla pazienza e alla responsabilità delle parti
implicate”. Quella mediazione pontificia, prosegue Benedetto XVI, ha prodotto frutti
di pace “fino ai giorni nostri”, dimostrando la necessità - già sostenuta allora
da Papa Wojtyla - di “continuare a ricorrere alla diplomazia e ai suoi metodi
di negoziato per garantire la pace, la sicurezza e il benessere”, in vista della costruzione
di quella “civiltà dell’amore della quale - rileva il Pontefice - Giovanni Paolo II
fu profeta, anche se non sempre ascoltato”.
Il
dialogo, dunque, conclude Benedetto XVI, ha “come scopo non la supremazia della
forza e dell'interesse, ma l'affermazione di una giustizia equanime e solidale, fondamento
sicuro e stabile della convivenza tra i popoli”.