Le priorità dell’educazione: nell’intervista con il card. Bertone
L’educazione, specie la formazione delle nuove generazioni è una priorità, anzi una
vera e propria emergenza globale: è l’allarme lanciato dal cardinale Tarcisio Bertone,
inaugurando nei giorni scorsi la Pontificia Università Salesiana. Roberta Gisotti
lo ha intervistato.
R. - E’ una
visione che tocca un po’ tutto il mondo, la società globalizzata e quindi il problema
del rapporto intergenerazionale, del rapporto adulti giovani, il problema anche di
dare senso alla vita e di dare speranza di futuro ai giovani. Quindi, è opportuno
non limitarci ad una visione dell’Homo Videns ma guardare alll’Homo Cogitans, all’uomo
che progetta e che progetta non da solo ma con la comunità e con Dio stesso. D.
– Eminenza, che cosa distingue un’università cattolica da un’università laica? Qual
è il valore aggiunto sul piano didattico? R. – Io dico intanto
sul piano dei contenuti, un’università cattolica o, in questo caso, un’università
ecclesiastica, ha un contenuto da comunicare che è il dono della rivelazione di Dio
quindi è “un di più” che dialoga con la ragione umana. E’ il famoso tema dell’Enciclica
di Papa Giovanni Paolo II, fede e ragione, questa nuova razionalità aperta al trascendente.
Sul piano didattico, certamente bisogna avere un’alta, acquisita e collaudata professionalità,
quindi non c’è nessuna differenza. C’è forse un di più se l’educatore ha in sé quel
concetto di rispetto della persona che vede, come Figlio di Dio e quindi su un piano
di uguaglianza, di comune destino trascendente, di comune futuro soprannaturale, di
comune immortalità nella grande famiglia dei figli di Dio. Quindi, certamente, ci
sono delle ragioni, delle motivazioni in più per collocarsi e porsi al servizio della
formazione delle nuove generazioni. D. – C’è il rischio, Eminenza,
che l’Università Cattolica, per essere al passo con i tempi, come dire, si contamini
in qualche modo con la contemporaneità, con la caducità dei saperi terreni? R.
– Questo rischio ci può sempre essere in tutti, non solo nei docenti, negli operatori
delle Università Cattoliche, però noi abbiamo parlato anche durante il Sinodo, molti
padri sinodali parlano del “farsi carne”. L’idea del farsi carne, è proprio la teologia
dell’incarnazione, la “sacramentalità” dell’incarnazione ci obbliga ad immergerci
nella realtà per assumerla, per purificarla, se è necessario, non per lasciarsi contaminare.
La realtà in sé, potenzialmente, è buona, l’inquinamento della società dipende dalle
persone e dipende dalle persone riscattarsi, redimersi, auto superarsi. Allora, qui,
l’incarnazione vuol dire assumere tutte le realtà, ma cercando di purificarle, cercando
di orientarle, di indirizzarle al bene della persona e al bene comune.