Al Sinodo in Vaticano, giornata dedicata alle Proposizioni finali. L'inculturazione
della Bibbia in Africa nelle parole di mons. Antonio Menegazzo, vescovo in Sudan
Ultima settimana di lavori per il Sinodo dei Vescovi sulla Parola di Dio, in corso
in Vaticano. Oggi è in programma l’unificazione delle Proposizioni finali da parte
del relatore generale, del segretario speciale e dei "circoli minori". L’elenco unico
delle Proposizioni sarà poi emendato e votato nelle prossime Congregazioni generali.
Intanto, tra i temi più ricorrenti del Sinodo, c’è quello dell’inculturazione della
Bibbia in Africa. Ma quali problematiche presenta questa operazione? Isabella Piro
lo ha chiesto ad uno dei Padri sinodali, mons. Antonio Menegazzo, vescovo di
Mesarfelta, in Sudan:
R. - La
problematica maggiore è la questione della guerra civile tra nord e sud del Paese,
che è durata per ventuno anni: abbiamo avuto molti profughi che hanno dovuto lasciare
il proprio villaggio, la propria Chiesa, la propria casa per rifugiarsi nel nord.
E nel nord, si sono raggruppati in centri per poter lavorare, soprattutto nell’agricoltura,
quindi in zone molto lontane dalla Chiesa principale, dove si trovano i sacerdoti.
E data anche l’insicurezza in cui ci troviamo, soprattutto nel Darfur, i sacerdoti
non possono contattare facilmente questi gruppi di cristiani che si trovano lontani
dalla Chiesa madre. E' difficile quindi portare loro la Bibbia, in particolare spiegarla,
perché non sono all’altezza di capirla bene ed avrebbero sempre bisogno della presenza
del sacerdote che spieghi loro la Parola di Dio.
D.
- Come far convivere la Parola di Dio con la natura della cultura locale, senza sradicarla?
R.
- Questo è un altro grande problema. Molti, in questi ultimi anni, sono diventati
cristiani, hanno chiesto il Battesimo ed hanno avuto nove, dieci mesi di preparazione
a questo Sacramento. Io penso che nove, dieci mesi di preparazione non siano sufficienti
a cambiare la mentalità, a lasciare che il Vangelo entri nel cuore dell’uomo e lo
cambi. Dunque, abbiamo la difficoltà di cristiani che quando ricevono il Battesimo
in molti restano ancora attaccati alle loro tradizioni.
D.
- C’è poi il problema della preparazione dei catechisti…
R.
- Noi abbiamo in ogni diocesi un centro pastorale catechistico, ma anche in questo
caso abbiamo la difficoltà della lingua, dell’istruzione del catechista. Tante volte
i nostri catechisti hanno frequentato forse le scuole elementari e non di più e quindi,
naturalmente, sanno solo la loro lingua, non conoscono l’arabo e l’inglese che sono
le due lingue più parlate nel posto. È molto difficile prepararli perché possano trasmettere
veramente l’insegnamento della Chiesa ai catecumeni.
D.
- Lei cosa si augura che questo Sinodo possa fare di più per l’Africa?
R.
- Che veramente questo Sinodo convinca, prima di tutto la Chiesa, e poi anche le organizzazioni
che hanno mezzi finanziari, a tradurre la Bibbia nelle varie lingue locali. Sono moltissime,
in Sudan, le lingue locali tribali e la maggioranza della popolazione non ha la possibilità
di leggere la Bibbia perché non conosce l’arabo, non sa l’inglese, e quindi non può
venire neanche a conoscenza della Bibbia.
D. - Guardiamo
per un attimo al 2009, al Sinodo dei Vescovi d’Africa: il Sinodo attuale può essere
un “trampolino di lancio” per quello dell’anno prossimo?
R.
- Io penso di sì, perché naturalmente la Parola di Dio è essenziale, appunto, per
la vita cristiana. E quindi anche per l’Africa: se manca la Parola di Dio, naturalmente
manca la vera vita cristiana. Io perciò penso che l'attuale Sinodo sia un passo verso
il Sinodo africano dell’anno prossimo, una preparazione profonda, perché il Sinodo
dell’anno prossimo sia davvero efficace e giunga davvero al punto essenziale della
conversione dell’Africa: ovvero, entrare nella mentalità del Vangelo, lasciarsi guidare
dal Vangelo, essere presi dal Vangelo per poter vivere la propria vita cristiana come
discepoli di Cristo.