In Iraq continuano le persecuzioni contro la Chiesa locale. Quasi mille famiglie hanno
lasciato la città di Mosul. Il governo invia soldati a protezione
Sarebbero 932 - e non soltanto 150, come indicato ieri da fonti di polizia - le famiglie
di cristiani che hanno lasciato nelle ultime 24 ore Mosul, capitale del territorio
di Ninive, nell’Iraq settentrionale “per rifugiarsi nei villaggi cristiani a nord
e ad est della città". Lo ha reso noto il governatore della regione, Duraid Kashmula.
“È la campagna più violenta contro i cristiani dal 2003'', ha denunciato il governatore,
puntando il dito contro Al Qaida. "Tra le vittime degli ultimi giorni vi sono un medico,
un ingegnere e un disabile”. Dal 28 settembre scorso, almeno 11 cristiani sono stati
assassinati a Mosul a causa della loro appartenenza religiosa. Ieri, tre abitazioni
di cristiani sono state fatte saltare in aria a Suka, un quartiere nel nord della
città. Sconosciuti percorrono in auto i quartieri cristiani intimando agli abitanti
di andarsene al più presto, pena rappresaglie. Il governo iracheno ha deciso di reagire
a queste violenze inviando un migliaio di agenti di polizia per proteggere i cristiani.
I rinforzi - "due brigate" della polizia nazionale - sono partiti dalla mezzanotte
di ieri. Inoltre, ha spiegato un portavoce del Ministero dell'interno iracheno, "due
squadre investigative sono state inviate a Mosul per chiarire la natura degli incidenti
che si sono verificati". Uno dei capi della Chiesa caldea irachena, l'arcivescovo
di Kirkuk, Louis Sako, ha denunciato ''una campagna di liquidazione e violenze, con
obiettivi politici'', contro i cristiani. Il patriarca vicario della Chiesa caldea
in Iraq, mons. Shlemon Warduni, ha esortato dal canto suo ''tutti i fratelli musulmani
a Mosul, Baghdad e in Iraq'' a fare il possibile per porre fine a ''questa dolorosa
campagna''. (A cura di Virginia Volpe)