Vent’anni fa la morte di Carlo Carretto, testimone del Vangelo sulle orme di Charles
de Foucauld
Un uomo di azione e contemplazione che portò il Vangelo tra la gente e testimoniò
con la vita il valore dell’accoglienza: la Chiesa italiana ricorda Carlo Carretto
nel ventesimo anniversario della morte. Cuore delle celebrazioni è la cittadina umbra
di Spello, dove fratel Carlo si spense il 4 ottobre del 1988 nella sua comunità Jesus
Caritas. Un tempo leader di Azione Cattolica e poi Piccolo Fratello di Gesù, sulle
orme di Charles de Foucauld, Carlo Carretto parla ancora oggi a moltissimi fedeli,
anche attraverso i suoi libri. E’ quanto sottolinea padre Giancarlo Sibilia,
priore della comunità Jesus Caritas, intervistato da Alessandro Gisotti:
R. – I libri
di Carlo Carretto continuano ad essere diffusi, a oltrepassare tanti confini. Ci risulta
siano arrivati a 32 traduzioni. Il nuovo vescovo di Foligno, mons. Sigismondi, ieri
ha detto: “Carlo è l’uomo delle tre ‘s’: del silenzio, della semplicità e del servizio”,
una definizione molto indovinata in cui tutti lo ritroviamo.
D.
– Cosa colpisce ancora oggi della figura, degli scritti, dell’azione e della contemplazione
di fratel Carlo?
R. – E’ l’umiltà che Carlo ha vissuto
e ha insegnato. Una grande unità nella volontà di Dio, sia nel Grande Sahara sia sugli
eremi di Spello, oppure nell’attività, nell’azione … Ecco: è sempre stato un grande
contemplativo fin da ragazzo 18enne, e nello stesso tempo un grande uomo d’azione.
E' questa unità tra l’assoluto di Dio e l’assoluto dell’Uomo, che Carlo ha vissuto
intensamente, l’ha comunicata con i suoi libri e soprattutto con la sua vita.
D.
– Fratel Carlo portò il Vangelo letteralmente nelle strade delle città, spesso richiuse
in se stesse. Come attualizzare questo suo esempio?
R.
– Carlo aveva innato il senso dell’accoglienza: l’accoglienza di Dio, l’accoglienza
dell’uomo. Perciò viveva proprio questa accoglienza, avere un cuore aperto e avere
una porta sempre aperta. Io ricordo benissimo, perché ho seguito i suoi ultimi mesi
di malattia, che i campanelli si sprecavano, il telefono suonava… anzi, la presenza
di Carlo rendeva ancora più intenso questo suonare di campanelli vari … Ebbene, Carlo
dal suo letto sentiva e se si ritardava un momento, diceva: “Fratelli, fratelli, han
suonato lì, han suonato lì, bisogna andare perché è l’Angelo di Abramo!”. Ognuno che
avvicinava Carlo era per lui l’angelo di Abramo, perciò da accogliere con molto rispetto,
con molto affetto e con molta gratitudine! Diceva anche a noi: “Ricordatevi che se
noi diamo qualcosa, quelli che vengono a bussare alle nostre fraternità ci danno molto,
ma molto di più!”.
D. – Tra i tanti ricordi che ha,
ce n’è uno che vuole condividere?
R. – Una notte
abbiamo assistito a una lotta interiore di fratel Carlo, lo vedevamo sudato ripetere:
“Io credo! Io credo!”; eravamo preoccupati anche che potesse essere l’ultima notte
… Poi, invece, la mattina lo abbiamo trovato che riposava tranquillo, con la corona
in mano, come era solito e con il suo sorriso un po’ così, da furbetto, che diceva:
“Avete visto, ce l’ho fatta, eh! Ce l’ho fatta: io credo!”. Abbiamo pensato, senza
andare oltre, che sia stato tentato nella fede. Ecco perché diceva, raccomandava,
scriveva: “Quando venite alla mia tomba non venite a chiedermi che interceda per voi
per chissà quale cosa; chiedetemi di intercedere per la vostra fede, perché quella
è la cosa più importante!”.