2008-10-11 13:22:10

Vent’anni fa la morte di Carlo Carretto, testimone del Vangelo sulle orme di Charles de Foucauld


Un uomo di azione e contemplazione che portò il Vangelo tra la gente e testimoniò con la vita il valore dell’accoglienza: la Chiesa italiana ricorda Carlo Carretto nel ventesimo anniversario della morte. Cuore delle celebrazioni è la cittadina umbra di Spello, dove fratel Carlo si spense il 4 ottobre del 1988 nella sua comunità Jesus Caritas. Un tempo leader di Azione Cattolica e poi Piccolo Fratello di Gesù, sulle orme di Charles de Foucauld, Carlo Carretto parla ancora oggi a moltissimi fedeli, anche attraverso i suoi libri. E’ quanto sottolinea padre Giancarlo Sibilia, priore della comunità Jesus Caritas, intervistato da Alessandro Gisotti:RealAudioMP3

R. – I libri di Carlo Carretto continuano ad essere diffusi, a oltrepassare tanti confini. Ci risulta siano arrivati a 32 traduzioni. Il nuovo vescovo di Foligno, mons. Sigismondi, ieri ha detto: “Carlo è l’uomo delle tre ‘s’: del silenzio, della semplicità e del servizio”, una definizione molto indovinata in cui tutti lo ritroviamo.

 
D. – Cosa colpisce ancora oggi della figura, degli scritti, dell’azione e della contemplazione di fratel Carlo?

 
R. – E’ l’umiltà che Carlo ha vissuto e ha insegnato. Una grande unità nella volontà di Dio, sia nel Grande Sahara sia sugli eremi di Spello, oppure nell’attività, nell’azione … Ecco: è sempre stato un grande contemplativo fin da ragazzo 18enne, e nello stesso tempo un grande uomo d’azione. E' questa unità tra l’assoluto di Dio e l’assoluto dell’Uomo, che Carlo ha vissuto intensamente, l’ha comunicata con i suoi libri e soprattutto con la sua vita.

 
D. – Fratel Carlo portò il Vangelo letteralmente nelle strade delle città, spesso richiuse in se stesse. Come attualizzare questo suo esempio?

 
R. – Carlo aveva innato il senso dell’accoglienza: l’accoglienza di Dio, l’accoglienza dell’uomo. Perciò viveva proprio questa accoglienza, avere un cuore aperto e avere una porta sempre aperta. Io ricordo benissimo, perché ho seguito i suoi ultimi mesi di malattia, che i campanelli si sprecavano, il telefono suonava… anzi, la presenza di Carlo rendeva ancora più intenso questo suonare di campanelli vari … Ebbene, Carlo dal suo letto sentiva e se si ritardava un momento, diceva: “Fratelli, fratelli, han suonato lì, han suonato lì, bisogna andare perché è l’Angelo di Abramo!”. Ognuno che avvicinava Carlo era per lui l’angelo di Abramo, perciò da accogliere con molto rispetto, con molto affetto e con molta gratitudine! Diceva anche a noi: “Ricordatevi che se noi diamo qualcosa, quelli che vengono a bussare alle nostre fraternità ci danno molto, ma molto di più!”.

 
D. – Tra i tanti ricordi che ha, ce n’è uno che vuole condividere?

 
R. – Una notte abbiamo assistito a una lotta interiore di fratel Carlo, lo vedevamo sudato ripetere: “Io credo! Io credo!”; eravamo preoccupati anche che potesse essere l’ultima notte … Poi, invece, la mattina lo abbiamo trovato che riposava tranquillo, con la corona in mano, come era solito e con il suo sorriso un po’ così, da furbetto, che diceva: “Avete visto, ce l’ho fatta, eh! Ce l’ho fatta: io credo!”. Abbiamo pensato, senza andare oltre, che sia stato tentato nella fede. Ecco perché diceva, raccomandava, scriveva: “Quando venite alla mia tomba non venite a chiedermi che interceda per voi per chissà quale cosa; chiedetemi di intercedere per la vostra fede, perché quella è la cosa più importante!”.







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