Ucciso un altro sacerdote cattolico in India: minacciato di morte un arcivescovo nell'Orissa
Non si fermano le violenze contro i cattolici in India. L'altro ieri è stato ucciso
un sacerdote cattolico nel suo monastero nel nord del Paese. Il religioso viveva in
un villaggio a circa 400 km da New Delhi. La polizia non esclude l’ipotesi di una
rapina conclusa in maniera tragica. E intanto mons. Raphael Cheenath, arcivescovo
della capitale dello Stato dell’Orissa ha denunciato di aver ricevuto una lettera
di minacce. Il servizio di Virginia Volpe.
L’India piange
un altro prete cattolico, forse vittima della criminalità comune. Padre Samuel Francis,
di 50 anni, è stato ritrovato morto ieri nella cappella del monastero in cui viveva
e insegnava yoga e meditazione, nel villaggio di Chota Rampur, nell’India settentrionale.
Aveva le mani legate dietro la schiena, era imbavagliato e presentava ferite sulla
fronte. Non sono ancora chiare le dinamiche dell’assassinio e il movente: la polizia
non esclude possa trattarsi di un tentativo di furto conclusosi in maniera tragica,
visto che il monastero è stato saccheggiato dagli assassini prima della fuga. Insieme
al prete è stato ritrovato anche il cadavere di una donna, affetta parzialmente da
disturbi psichici. Padre Davis Varayilan, professore al Samanvayan Theological
College, ha riferito di aver conosciuto bene il prete ucciso e ne ha elogiato
la “generosità”, il buon cuore e l’intelligenza: “È l’ennesima tragedia per la Chiesa
indiana – ha detto ad AsiaNews. Spesso mandavamo i nostri seminaristi
a vivere per un po' nel suo ashram; agli inizi degli anni ’80 era il responsabile
per la pastorale giovanile della diocesi di Meerut”. “Era una persona amata e rispettata
da tutti: indù, musulmani, dai poveri e dagli emarginati”. I funerali si sono svolti
oggi nel villaggio di Chota Rampur. E la situazione in India non sembra destinata
a migliorare: mons. Raphael Cheenath, arcivescovo di Cuttack Bhubaneswar, capitale
dello Stato indiano dell’Orissa, ha dichiarato di aver ricevuto una lettera minatoria
da parte dei fondamentalisti indù. “Sangue per sangue, morte per morte” questa la
minaccia che ha indotto il presule a cancellare il viaggio di ritorno a Bhubaneswar.
Mons. Cheenath si trova, infatti, ancora nel Kerala, da quando, il 24 agosto scorso
cominciarono le violenze. Il prelato ha scritto nei giorni scorsi una lettera al primo
ministro per richiedere un nuovo incontro e una scorta per almeno sei mesi. Nella
missiva c’è anche un aggiornamento della situazione in Orissa, molto preciso nonostante
“l’esilio forzato dell’arcivescovo” perché basato su informazioni raccolte dai suoi
preti e dai suoi laici che si trovano in prima linea. Il dilagare
delle violenze anticristiane in India preoccupa e sorprende in particolare coloro
che hanno scelto proprio questo Paese come terra di missione. La conferma nelle parole
di padre Carlo Torriani, missionario del PIME a Bombay, intervistato da Stefano
Leszczynski:
R. - In questo
momento, si vede che c’è proprio un’organizzazione dietro che attacca anche i Paesi
o gli Stati come il Kerala, il Karnataka, in cui i cristiani sono in una certa consistenza.
Però, c’è da dire che la gente si sta chiedendo chi è il vero indù: la religione indù
è eminentemente tollerante nella sua struttura. D. – C’è una
vicinanza ai cristiani in questo momento dalla parte dei più moderati o c’è un clima
di isolamento? R. – No, ci sono state dimostrazioni anche qui
a Bombay, una zona relativamente pacifica per noi qui. A Bombay c’è stata una dimostrazione,
tutte le scuole cattoliche sono state chiuse per una giornata in solidarietà ai cristiani
dell’Orissa e c’è stato anche un incontro di preghiera e di manifestazione pacifica
in cui ha partecipato il rappresentante dell’Arya Samaj, che è un’antica organizzazione
indù, più vecchia di 100 anni. D. – Possiamo dire che, nonostante
la situazione in India, c’è ancora uno spazio per il dialogo interreligioso? R.
– Senza dubbio c’è questo spazio, anzi, questo servirà sicuramente a far vedere la
buona intenzione dei cristiani mentre queste organizzazioni che provocano, vivono
ancora nel clima del colonialismo del secolo scorso.