Elezioni cruciali in Rwanda per rafforzare la pace interetnica
Domani il Rwanda alle urne per le elezioni legislative. Tra i candidati ci sono molte
donne, diversi giovani e anche un rappresentante per i disabili. Non si prevedono
sorprese e sembra scontata l’affermazione di 3 partiti che governano attualmente il
Paese. Ampiamente favorito è il partito di maggioranza, il Fronte patriottico rwandese,
guidato da Paul Kagame, attuale presidente della Repubblica. Sul significato di questo
voto, si sofferma al microfono di Stefano Leszczynski, Daniele Scaglione,
esperto di questioni rwandesi:
R. –
Sono elezioni anche abbastanza complesse: il partito del presidente è un partito che
in realtà raduna una coalizione di sei partiti più piccolini, per un totale di 80
candidati, poi ci sono altri due partiti - quello dei socialdemocratici e del partito
liberale – con una sessantina di candidati l’uno, e naturalmente non sono partiti,
come dire, molto ostili alla maggioranza, perché i partiti più ostili - o visti in
maniera più ostile alla maggioranza del governo – che sono una dozzina, a queste elezioni
non partecipano proprio.
D. – Kagame è il presidente
del Rwanda dopo il genocidio; quanto è ancora sentito e quanto influenza le scelte
politiche dei rwandesi quel drammatico accadimento?
R.
– Gli elettori, naturalmente, ci pensano alle vicende del genocidio, che, come dicono
loro, "è avvenuto ieri" - il genocidio è del ’94 – ed è stato talmente devastante,
ha rivoltato completamente il Paese non solo in termini di morti, ma anche in termini
di sfollati, in termini di distruzione dei sistemi economici, sociali, ecc..., per
cui è chiaro che incide. Incide forse anche in fatti in cui il Rwanda è un po’ all’avanguardia:
penso a tutti i posti che vengono riconosciuti alle donne, e anche ai giovani, e anche
ai portatori di handicap. I portatori di handicap, in Rwanda, spesso sono portatori
di handicap perché hanno subito qualche mutilazione o qualche danno durante il genocidio.
I giovani sono una componente importantissima, perché i giovani si sono ritrovati,
uccisi i loro genitori durante il genocidio, a diventare capifamiglia; quindi, in
tutti questi aspetti, si vede il segno del genocidio, che ancora c’è ed è forte ed
è presente.
D. – Fa un po’ specie l’assenza di una
vera e propria opposizione in questo confronto politico. Il fatto che votino anche
i membri della diaspora può influenzare, in qualche modo, il destino politico del
Rwanda o è ininfluente?
R. – No, io credo che il
destino politico del Rwanda, nel senso di quali sono le forze politiche che lo vanno
a governare, sia abbastanza segnato e non credo che ci saranno da aspettarsi grandi
sorprese. Il fronte patriottico rwandese, nelle elezioni parlamentari del 2003, aveva
avuto il 74% dei consensi dei seggi parlamentari; non c’è dubbio che Kagame, con le
sue forze, governa con il classico pugno duro, però il Rwanda è anche un Paese che
evolve molto dal punto di vista economico, dal punto di vista sociale, e io credo
che le elezioni siano una tappa importante ma c’è dietro tutto uno sviluppo di questo
Paese - che è stato straordinario dal tempo del genocidio ad oggi - che andrà avanti
e con cui poi le forze politiche dovranno fare i conti.