Dopo la Bolivia anche il Venezuela espelle l'ambasciatore USA
In Bolivia, sono almeno otto le persone morte negli scontri scoppiati, nelle ultime
ore, tra sostenitori ed oppositori del presidente, Evo Morales. Le violenze hanno
fatto seguito all’espulsione dalla Bolivia dell’ambasciatore statunitense, accusato
di “fomentare la divisione” nello Stato. In segno di solidarietà verso la Bolivia
anche il governo del Venezuela ha chiesto all'ambasciatore americano di tornare nel
proprio Paese. In Bolivia, intanto, il mondo politico sembra sempre più spaccato:
ad alimentare profonde frizioni sono ormai, da anni, l’estrazione e l’utilizzo del
gas. Alla richiesta di autonomia di alcune regioni si aggiungono anche nette contrapposizioni
sulla nuova Carta Costituzionale. E’ quanto sottolinea, al microfono di Amedeo
Lomonaco, Luis Badilla, giornalista cileno della nostra emittente: R.
- Il Paese è polarizzato, molto spaccato, soprattutto per via della nuova Carta Costituzionale,
che dovrebbe essere sottoposta - in una data non ancora fissata – a referendum. Una
parte importante del Paese la accetta, la vuole, e l’ha imposta; l’altra parte dello
Stato, invece, non la accetta e desidera che sia cambiata drasticamente. Si fanno
tentativi ormai da più di un anno di dialogo fra queste due parti. Però, purtroppo,
non si arriva a nessuna conclusione. Nel frattempo le proteste proseguono in tutte
le regioni del Paese, e non si riesce a trovare una via di consenso per i cambiamenti
che tutti vogliono. D. – Quali connessioni ci sono tra queste
proteste interne in Bolivia e l’azione diplomatica degli Stati Uniti nel Paese andino? R.
– Nei giorni scorsi l’ambasciatore degli Stati Uniti in Bolivia ha ricevuto e incontrato
uno dei governatori delle regioni della Bolivia che si oppongono a questo progetto
costituzionale, al governo del presidente Evo Morales. Il governo boliviano ha giudicato
questa la goccia che ha fatto traboccare il vaso: ha ritenuto che questo era il massimo
dell’ingerenza del governo degli Stati Uniti, tramite il suo ambasciatore, negli affari
interni del Paese. Quindi, ha deciso di indicarlo “persona non gradita” e gli ha dato
72 ore per abbandonare il Paese. D. – Perché questa frattura
tra Stati Uniti e Bolivia si sta allargando anche ad altri Paesi dell’America Latina? R.
– C'è da premettere che la maggioranza degli ultimi governi dell’America Latina si
sono spostati su posizioni di centro-sinistra. In merito a questa crisi abbiamo dunque
avuto una prima reazione immediata da parte del Venezuela, che in solidarietà con
Evo Morales ha espulso anche l’ambasciatore americano a Caracas. C'è stata anche la
solidarietà - più cauta – sia del governo argentino, sia del governo brasiliano. E'
probabile che nelle prossime ore, si orientino sulla stessa linea altri governi, fra
cui quello del Nicaragua. Molti governi, come quello di Lugo, in Paraguay, della signora
Bachelet in Cile, lo stesso Uribe in Colombia sembrano più cauti. Si vuole evitare
quello che sarebbe un dramma: la generalizzazione della crisi fra l’America Latina
e gli Stati Uniti. D. – A proposito di Stati Uniti, siamo alla
fine del mandato presidenziale negli USA; c’è stata, da parte dell’amministrazione
Bush, una politica coerente nei confronti dell’America Latina? R.
– Direi proprio di no. Gli Stati Uniti non hanno avuto una politica estera coerente,
organica, armonica nei confronti dell’America Latina. Si sono limitati a intervenire
nei confronti di fatti specifici, limitando il loro agire diplomatico sostanzialmente
all’ambito della questione economica. Ma sono venute a mancare le relazioni politiche,
i rapporti culturali, i rapporti umani che, in un certo qualmodo, sono fondamentali. D.
– In questo contesto così complesso, quale via sta cercando di percorrere la Chiesa
in America Latina? R. – In America Latina, e soprattutto in
Bolivia, la Chiesa dice: è vero che abbiamo bisogno di cambiamenti. Servono cambiamenti
che vogliono le minoranze aborigene, più povere. Sono necessari cambiamenti che vogliono
i ceti medi, i settori dei professionisti. Evidentemente, ci sono interessi contrapposti,
ma quando ci sono profonde fratture c’è una sola via, quella della ragione, del dialogo
e della negoziazione da seguire. Va percorsa questa strada per raggiungere quello
che è possibile per tutti, senza mettere a repentaglio il bene comune. Quello che
succede in Bolivia in queste ore è che si sta mettendo a repentaglio proprio il bene
comune: poi non ci sarà una Bolivia per nessuno, né per una parte, né per l’altra.