La catechesi di Benedetto XVI all'udienza generale: San Paolo insegna che essere apostoli
significa annunciare la "gioia di Cristo" nel mondo
Prima del saluto alla Francia, Benedetto XVI nel corso dell'udienza generale aveva
svolto una nuova catechesi su San Paolo, oggi dedicata in particolare alle caratteristiche
del suo essere “apostolo” e conclusa dall’augurio che i testimoni del Vangelo di ogni
tempo siano, essenzialmente, “apostoli della gioia di Cristo”. Il servizio di Alessandro
De Carolis:
A servizio
del Vangelo “ventiquattr’ore, su ventiquattro”, coraggioso fino all’abnegazione nel
sopportare - in nome e per amore di Gesù - percosse, prigionia, naufragi, fatiche,
viaggi estenuanti. Paolo di Tarso, ha spiegato Benedetto XVI, sapeva molto bene che
la parola “apostolo” vuol dire in greco “inviato”, un ambasciatore per conto di qualcuno,
per il quale spendersi senza risparmio. Ed essendo quel “Qualcuno” Cristo stesso,
che lo aveva rapito alle porte di Damasco, Paolo sa altrettanto bene - e lo mette
più volte in luce nelle sue Lettere - che fu una vera e propria chiamata interiore
a renderlo apostolo e non un atto di volontà umana:
“In
definitiva, è il Signore che costituisce nell'apostolato, non la propria presunzione.
L’apostolo non si fa da sé, ma tale è fatto dal Signore; quindi l’apostolo ha bisogno
di rapportarsi costantemente al Signore. Non per nulla Paolo dice di essere ‘apostolo
per vocazione’, cioè ‘non da parte di uomini né per mezzo di uomo, ma per mezzo di
Gesù Cristo e di Dio Padre’”. Un prescelto, dunque, “quasi
selezionato dalla grazia di Dio”, ha spiegato il Papa, che se da un lato riconosce
appieno la supremazia dei Dodici scelti da Gesù durante la sua vita terrena di Cristo
- autodefinendosi in più di una occasione come “l’infimo degli apostoli” - dall’altro
lato manifesta una concezione più ampia dell’impegno che attiene ad un annunciatore
del Vangelo:
“Appare chiaro, pertanto, che il
concetto paolino di apostolato non si restringe al gruppo dei Dodici. Ovviamente,
Paolo sa distinguere bene il proprio caso da quello di coloro ‘che erano stati apostoli
prima’ di lui: ad essi riconosce un posto del tutto speciale nella vita della Chiesa.
Eppure, come tutti sanno, anche San Paolo interpreta se stesso come Apostolo in senso
stretto. Certo è che, al tempo delle origini cristiane, nessuno percorse tanti chilometri
quanti lui, per terra e per mare, con il solo scopo di annunciare il Vangelo”.
L’essere
prescelto per “iniziativa” divina e l’essere inviato sono due delle tre caratteristiche
messe in risalto da Benedetto XVI della concezione che si ha del termine “apostolo”
nell’esperienza paolina. La terza, ha sottolineato, riguarda “l’esercizio dell’annuncio
del Vangelo” con la “conseguente fondazione di chiese”. “Quello di apostolo - ha affermato
il Papa - non è e non può essere un titolo onorifico. Esso impegna concretamente e
anche drammaticamente tutta l’esistenza del soggetto interessato”:
“Un
elemento tipico del vero apostolo, messo bene in luce da san Paolo, è una sorta di
identificazione tra Vangelo ed evangelizzatore, entrambi destinati alla medesima sorte.
Nessuno come Paolo, infatti, ha evidenziato come l'annuncio della croce di Cristo
appaia ‘scandalo e stoltezza’, a cui molti reagiscono con l'incomprensione ed il rifiuto.
Ciò avveniva a quel tempo, e non deve stupire che altrettanto avvenga anche oggi (…)
Questa rimane la missione di tutti gli apostoli di Cristo in tutti i tempi: essere
collaboratori della vera gioia”. Al momento dei saluti finali,
dopo averne rivolto uno in particolare ai partecipanti al Seminario sulle comunicazioni
sociali, promosso dalla Pontificia Università della Santa Croce, Benedetto XVI ha
dedicato, sulla scia del prossimo pellegrinaggio a Lourdes, un pensiero mariano ai
giovani, ai malati e agli sposi novelli: “Per voi giovani - ha detto - chiedo alla
Vergine Santa il dono di una fede sempre più matura; per voi malati, una fede sempre
più forte e per voi sposi novelli una fede sempre più profonda”.