Crisi umanitaria a Gaza: drammatica la situazione dei palestinesi
Sempre più drammatica la situazione a Gaza, dove prosegue il blocco totale israeliano,
cominciato dopo la vittoria elettorale di Hamas. Un alto dirigente dell’ONU ha denunciato
la situazione di grande difficoltà che vive la popolazione locale, definendo “vergognoso”
il silenzio della comunità internazionale di fronte a questa situazione. Salvatore
Sabatino ha raccolto il commento di Giorgio Bernardelli, esperto di Medio
Oriente:
R. – La situazione
è sempre quella che ormai va avanti dal giugno 2007; una situazione nella quale a
Gaza viene mantenuto sostanzialmente un livello di sopravvivenza. Le forniture dei
generi di prima necessità, così come di carburante – che è molto importante non solo
per la circolazione delle auto, ma anche per far funzionare i pozzi, le pompe e tantissime
altre cose – sono mantenute ad un livello di sopravvivenza. Quel tanto che basta,
cioè, a non far precipitare la situazione in una catastrofe umanitaria, che evidentemente
Israele non può permettersi di far scoppiare.
D.
– Perché c’è così poca attenzione da parte della Comunità internazionale di fronte
ad una situazione così drammatica?
R. – Perché si
tratta di una situazione difficile da risolvere; si fa molta fatica ad intravedere
una via di uscita. E’ sintomatico il fatto che nella proposta di Olmert nel negoziato
su Gaza con il presidente Abu Mazen – negoziato, questo, ormai debolissimo ed avviato
dalla Conferenza di Hannapolis – si diceva semplicemente una cosa: qualsiasi accordo
relativo a Gaza è subordinato all’uscita di scena di Hamas. In quella proposta non
c’era una parola su come quest’obiettivo politico si potesse raggiungere. Si va avanti
nelle trattative e si affronta la situazione in Medio Oriente come se la situazione
di Gaza non esistesse. Da qui lo sconcerto di chi, come l’Agenzia per i rifugiati
dell’ONU, si trova di fatto a dover gestire una situazione che è insostenibile.
D.
– La società civile della Striscia di Gaza sta proponendo la raccolta di un milione
di firme da presentare al segretario generale dell’ONU, Ban Ki-moon, per denunciare
“la violazione del diritto internazionale da parte di Israele” e chiedere “la fine
dell’assedio su Gaza”, definito “illegale”. Quali sono le aspettative su questa iniziativa?
R.
– Sono tutti modi per cercare di attirare l’attenzione. C’è stato, nei giorni scorsi,
un fatto molto importante: una nave di pacifisti è di fatto riuscita a forzare il
blocco e quindi ad attraccare a Gaza. Tutti questi sono tentativi di riportare questa
situazione all’attenzione della comunità internazionale. Il problema è che oggi serve
un’azione politica più forte; è necessario che si smetta veramente di continuare ad
accantonare questo problema. Bisogna quindi ricominciare da quella che è la reale
chiave di volta per arrivare così al ripristino di un accordo interno tra le fazioni
palestinesi. Oggi Abu Mazen governa, tratta, viene anche a Cernobbio – come è successo
pochi giorni fa – a parlare con i grandi della terra. Ma di fatto Abu Mazen è un presidente
che oggi non è rappresentativo di quella che è la società palestinese. A gennaio dovrebbero
– in teoria – tenersi le elezioni presidenziali nei Territori Palestinesi, ma ad oggi
non è affatto chiaro se ci saranno un minimo di garanzie internazionali. Bisogna ripartire
cercando di chiarire anzitutto quali siano i rapporti interni nel mondo palestinese.
Non si può non pensare anche al fatto che la situazione a Gaza deve uscire dall’impasse
in cui da ormai oltre un anno si è cacciata.