La Chiesa celebra la memoria di San Pietro Claver, il religioso gesuita che nel Seicento
spese la vita per portare aiuto ai neri vittime della tratta schiavista
Il 9 settembre è per la Chiesa il giorno della memoria di San Pietro Claver. Vissuto
a cavallo del 1600, Claver, religioso gesuita, consacrò con totale dedizione la propria
vita ad alleviare le pene degli schiavi neri, che dall’Angola venivano deportati attraverso
l'Atlantico fino in Colombia. La sua storia nel servizio di Alessandro De Carolis:
(canto)
Porto
di Cartagena, Colombia, un giorno qualunque dopo il 1622. Quella in corso, come il
mese precedente o il successivo, è un’importante giornata di traffici. Ha appena attraccato
una nave e tra poco dalle sue stive verranno scaricate merci piuttosto pregiate. Attorno
alla banchina c’è il consueto fermento fatto di lavoro, calcolo, contrattazione, attesa.
E poi le “merci” escono dalle nave, escono da sole, sulle loro gambe malferme. Hanno
una catena al collo, ai polsi e ai piedi, e soprattutto quel marchio naturale che
li rende così appetibili da queste parti: la pelle nera. Per i mercanti di schiavi
che da anni fanno rotta dal Nuovo Mondo verso l’Africa e ritorno, la tratta dei neri
è diventato un mercato fiorente e redditizio. E anche il nuovo carico sbarcato a Cartagena
promette affari importanti: lo si legge sul viso dei negrieri e su quello dei loro
clienti, mentre la frusta cala sulle schiene degli schiavi che vengono ammassati nelle
baracche in attesa di conoscere la loro destinazione.
In
quell’intrico di sguardi avidi, spietati o solo indifferenti a uno spettacolo visto
troppe volte per suscitare emozione, da qualche tempo ce n’è uno diverso, nel quale
si legge sollecitudine, e pietà. E’ un prete, un gesuita, che i mercanti di schiavi
guardano con diffidenza e odio e in tanti con generale disprezzo. Si chiama Pietro
Claver, è di Barcellona ma è diventato sacerdote a Cartagena nel 1616. Nel 1622, al
momento della professione definitiva, Pietro prende una decisione irremovibile, quasi
folle: sarà il prete degli schiavi. Di più, sarà l’“Aethiopum semper servus”, lo schiavo
degli “etiopi”, come all’epoca venivano chiamati i neri deportati. Quando ogni mese
la nave negriera depone sul molo il suo carico di inermi disperati, Pietro è lì a
portare cibo, cure, conforto. Esce in mare per portare qualcosa in aiuto o li raggiunge
fin nelle baracche, si ferma a parlare con loro, addirittura arriva a raggruppare
col tempo degli interpreti che sappiano parlare i vari dialetti degli schiavi. E non
si ferma alla cura del corpo. Pietro trasmette loro il Vangelo, ma prima li sprona
a difendere la propria dignità, senza la quale non potrebbe parlare loro dell’amore
di Dio.
Ovviamente, i benpensanti non possono non
storcere il naso. Quel prete sporco, imbrancato fra esseri considerati animali, è
di per sé un reietto. Viene accusato di “incauto zelo”, di avere profanato i sacramenti
impartendoli a creature che a malapena possedevano un'anima e questo nonostante già
nel 1537 Papa Paolo III avesse condannato con una bolla la tratta schiavista. Le donne
della buona società di Cartagena si rifiutano di entrare nelle chiese dove Pietro
Claver riunisce talvolta i "suoi negri". Anche i superiori del religioso vengono influenzati
dalle molte critiche, e tuttavia Pietro continua la sua missione, accettandone le
umiliazioni. Per quarant’anni le sue giornate trascorrono così. Poi, un giorno, Pietro
si ammala di peste. Patisce le angherie del suo infermiere - un nero - finché l’8
settembre 1654, a 74 anni, il suo cuore cede. La sua figura diventa l’emblema della
lotta alla schiavitù: Pietro Claver viene proclamato santo nel 1888, per volere di
Leone XIII. L’uomo che ha piantato il seme della fiducia nel fango dei peggiori abusi
avrà battezzato alla fine 300 mila schiavi: 300 mila persone strappate alle loro famiglie,
che hanno riscoperto grazie al loro servo con la tonaca un nuovo padre in Dio.