A Beslan, nell’Ossezia del Nord, in questi giorni si ricorda nel dolore la strage
di quattro anni fa. Era il 1° settembre 2004, primo giorno di scuola, quando un gruppo
di terroristi armati ceceni sequestrò, all’interno del locale edificio scolastico,
1300 persone, tra alunni, genitori e docenti. Due giorni dopo, l’improvviso blitz
delle forze di sicurezza russe, con l’esplosione delle cariche di dinamite che i guerriglieri
avevano disseminato all’interno dei locali. Furono 300 le vittime, delle quali 186
bambini, 700 i feriti. Ancora oggi, dopo la condanna all’ergastolo dell’unico terrorista
sopravvissuto, non si è fatta piena luce su quanto avvenuto. Giancarlo La Vella
ne ha parlato con Fabrizio Dragosei, all’epoca inviato a Beslan per il Corriere
della Sera:
R. – Beslan
è una tragedia che la Russia ricorderà a lungo e che ancora ha molti punti oscuri.
Il sequestro fu organizzato da questo gruppo di terroristi che si comportarono fin
dall’inizio in maniera crudelissima, uccidendo gli ostaggi a sangue freddo e tenendo
i bambini rinchiusi in una palestra dove si moriva di caldo, senza acqua e con cariche
di esplosivo sistemate ovunque. Poi, si dice che forse l’occasione dell’esplosione
iniziale potrebbe essere stata un colpo di lanciagranate sparato da fuori, il che
è anche possibile. Fatto sta che sicuramente, mentre i bambini dopo le iniziali esplosioni,
quelli sopravvissuti, tentavano di allontanarsi dalla palestra maledetta, da dentro
i cecchini, i terroristi sparavano loro addosso. E questa è una cosa innegabile. Certo,
a Beslan non hanno avuto un chiarimento su tutto quello che è accaduto e ancora chiedono
giustizia. C'è, al di là dell’organizzazione del sequestro e della sua conduzione
da parte dei ceceni, una responsabilità oggettiva di chi ha organizzato male il cordone
sanitario attorno alla scuola del sequestro, di chi – come minimo – non è riuscito
a tenere a freno gli uomini armati o forse, addirittura, ha dato un ordine folle di
assaltare la scuola nel momento meno opportuno.
D.
– La questione caucasica si ripropone periodicamente, sotto varie forme. Possiamo
dire che è una questione che non può essere risolta solo con il pugno di ferro?
R.
– Sicuramente no. Io credo che l’unica soluzione possa essere un’iniezione di denaro
che migliori la vita di tutti quelli che abitano in quella zona. Lo abbiamo visto
in Cecenia dove, con la fine della guerra è iniziata la ricostruzione, il Cremlino
ha deciso di investire molto denaro e le cose per ora stanno funzionando. Nel Caucaso
la situazione è ancora molto dura. Ecco: il pugno di ferro non risolve le situazioni,
ci vogliono truppe di pace che mantengano una certa tregua ma poi ci vogliono forti
investimenti, da parte della Russia e poi magari anche da parte di Paesi che hanno
interesse a favorire la pace in questa regione turbolenta che, ricordiamo, ha un’importanza
strategica molto grande, per l’Europa e per tutto l’Occidente.