Violenza nel calcio. Don Lusek: vietare le trasferte ai facinorosi
E' già esplosa la follia ultrà alla prima giornata della Serie A di calcio, sia durante
la partita Roma-Napoli allo stadio Olimpico che alla stazione di Napoli, dove i tifosi
in trasferta sono stati protagonisti di gravi atti di teppismo. E oggi, mentre il
governo pensa di bloccare nuovamente le trasferte, è polemica su cause e responsabilità
di quanto avvenuto. Perché simili episodi non si riescono ad arginare? Silvia Gusmano
lo ha chiesto a don Mario Lusek, direttore della Pastorale del tempo libero, turismo
e sport della CEI. R. - L’origine,
secondo me, è aver violato una delle caratteristiche dello sport, che è il rispetto
delle regole, e questo non vale solo per l’atleta che sta in campo, che gioca o altro,
ma vale anche per il tifoso che si avvicina a quel mondo. Dipende forse anche dal
fatto che non c’è nemmeno responsabilità e forse questo della responsabilità è uno
dei problemi più grossi a livello contemporaneo, perchè si giustifica tutto e il contrario
di tutto: si giustifica una cultura della violenza, in cui l'"occhio per occhio, dente
per dente" diventa lo strumento per risolvere i vari problemi. Quando viene meno la
responsabilità, viene meno il rispetto, e forse è bene arrivare a dei divieti. D.
- Vietare quindi le trasferte dei tifosi, come sta pensando di fare il governo? R.
- Sicuramente sì. Isolare i violenti, i facinorosi, quelli che di fatto utilizzano
lo sport per altri scopi, e così salvaguardare quella che è la passione autentica,
la passione vera, la passione profonda del tifoso doc. D. -
Al di là delle misure che occorre prendere a livello istituzionale, cosa occorre oggi
allo sport italiano per evitare il ripetersi di simili violenze? R.
- Generare una cultura sportiva che sia attenta alla persona, attenta veramente a
quello che lo sport veicola di per sé, perchè porta con sé dei valori altissimi, dei
valori grandi. Quindi, ricreare una cultura sportiva che faccia tornare lo sport ad
essere il luogo della festa, il luogo del gioco, il luogo della distensione e non
della tensione.