Il Messico si mobilita contro la violenza e il crimine. Intervista con il presidente
della Conferenza episcopale: lottare anche contro l'aborto
Ieri in 70 città messicane, con almeno 250 mila manifestanti nella sola Città del
Messico, si sono svolte centinaia di “Marce bianche” contro la violenza, il crimine
e la cultura della morte. Si è trattato della più imponente manifestazione di massa
contro l’aumento allarmante di ogni tipo di crimine nel Paese. Secondo le ultime statistiche
il Messico ha raggiunto il record poco invidiabile di “morti assassinati” al giorno,
che fino ad oggi apparteneva a Paesi come la Colombia e l’Iraq. Nonostante tutte le
misure preventive e repressive e l’impiego di 25mila agenti, oltre il 98 per cento
dei delitti resta impunito. Il servizio di Luis Badilla.
Sulla difesa
della vita umana la Chiesa messicana da diversi anni richiama con insistenza l’attenzione
dell’opinione pubblica e delle autorità statali e federali. La settimana scorsa, in
merito alla depenalizzazione dell’aborto entro la dodicesima settimana, i vescovi
messicani sono tornati con forza a porre la questione, rilevando la contraddizione
morale nonché sociale di un Paese, che da un parte si mobilita contro ogni violenza
che insidia la vita, mentre dall’altra la Corte Suprema dichiara costituzionale l’uccisione
di un essere umano non ancora nato. I dati ufficiali, sempre parziali, poiché la stragrande
maggioranza dei crimini non vengono denunciati per paura, sono impressionanti: nei
primi otto mesi del 2008 si già superato largamente il numero dei “morti ammazzati”
del 2007 e la cifra si avvicina a 3mila, con una nota raccapricciante degli ultimi
giorni: 20 persone decapitate. I sequestri, secondo le autorità sarebbero tra 300
e 400 ogni anno ma molte altre fonti autorevoli parlano di almeno 6mila. L’insicurezza
serpeggia in tutti i settori sociali del Paese, in ogni città, nei diversi quartieri
e, in sostanza, nulla è rimasto immune alla penetrazione dei grossi cartelli del narcotraffico,
in particolare dei due più feroci e spietati: quello di “Sinaloa” e quello del “Golfo”,
intrecciati fortemente con le mafie del narcotraffico della Colombia, del Perù e del
Venezuela. “Il Messico è diventato un gigantesco corridoio per il passaggio e per
la distribuzione della cocaina verso gli Stati Uniti e l’Europa”, i due più grandi
mercati della droga, ha rilevato il capo della Polizia federale, che, però ha aggiunto:
“Il consumo di cocaina è anche entrato a far parte della quotidianità di molti cittadini
i quali, per procurarsi la propria dose giornaliera, si mettono al servizio del narcotraffico
internazionale” . Mons. Lázaro Pérez Jiménez, vescovo di Celaya, commentando i recenti
documenti dell’episcopato sulla morte, la violenza e il crimine in Messico, ha ricordato,
giorni fa, che “i messicani si sono assuefatti alla violenza e quindi ascoltare il
bilancio delle vittime è diventato normale. Ogni giorno cresce il numero di adolescenti
messicani che entrano nel giro del consumo di droghe. Solo dopo la morte di un quattordicenne
sequestrato e ucciso, nonostante il riscatto pagato dal padre, abbiamo preso coscienza
che anche questo cancro sta erodendo il nostro tessuto sociale”. Ricordando che il
presidente della Repubblica si è incontrato pochi giorni fa con tutti i governatori
e i responsabili della sicurezza, per sottoscrive 75 nuove misure da applicare nei
prossimi 93 giorni, mons. Pérez Jiménez, ha auspicato “che possa aprirsi un orizzonte
di speranza (…) tenendo conto soprattutto che va combattuta l’impunità, e la corruzione
che a volte la sostiene, perché altrimenti il crimine crederà di essere indistruttibile”.
La drammatica realtà messicana, venuta alla luce ieri con migliaia di persone vestite
di bianco che hanno acceso candele in ogni angolo del Paese per dire “no” alla morte,
colloca questa importante nazione di fronte ad un bivio dal quale si esce solo con
una scelta coraggiosa e senza infingimenti: la vita. Certo, hanno ricordato a più
riprese i vescovi messicani, “la difesa della vita è un’opzione integrale e definitiva”,
poiché chi crede e rispetta il “dono divino della vita sa di dover difenderla da ogni
insidia e minaccia, in particolare quando l’offeso è indifeso e debole, non ha voce
e non in grado di proteggersi”.
E a questo proposito il presidente della
Conferenza episcopale messicana, mons. Carlo Aguiar Retes, ha ribadito le sue
critiche alla decisione della Corte Suprema che ha avallato la costituzionalità della
legge sulla depenalizzazione dell'aborto nelle prime 12 settimane. Ascoltiamolo al
microfono di Raul Cabrera: R.
– Non hanno voluto affrontare la questione se ci sia vita all’inizio della fecondazione,
dal concepimento, o se non ci sia vita in queste prime settimane. Questo argomento
è centrale per noi, come questione etica e anche come questione scientifica. La Suprema
Corte però non ha voluto dare una definizione di questo. Hanno preso una decisione
affermando che non c’è contrapposizione con quello che è scritto esplicitamente nella
Costituzione federale, che stabilisce in modo generico il diritto alla vita dei cittadini.
Siccome non si parla direttamente di fecondazione, nelle prime settimane di vita della
nuova creatura allora hanno detto che non c’è contrapposizione. Noi come Chiesa abbiamo
dichiarato che è necessario adesso che si dica esplicitamente quello che i membri
della Corte hanno argomentato non essere presente nella Costituzione. Tra l’altro,
dopo un anno di dibattiti su queste questioni anche l’opinione pubblica ha maturato
una nuova coscienza: mentre un anno fa la gente era divisa metà in favore della vita
e metà in favore della morte, oggi ben ilil 70 per cento è in favore della vita.
C’è ancora molto da fare e noi abbiamo però la speranza che si possa lavorare con
i legislatori e con i gruppi in favore della vita perché si possa ancora andare avanti
nell’esplicitare nella nostra Costituzione che il diritto alla vita va dal concepimento
fino alla morte naturale. Questa è la nostra fiducia e la nostra speranza, è quello
per cui preghiamo Dio, perché possiamo andare avanti in questo senso.