2008-08-31 15:14:39

L'integrazione delle popolazioni nomadi attraverso la formazione dei giovani zingari al centro del sesto Congresso mondiale che si apre domani a Frisinga. Intervista con mons. Marchetto


“I giovani zingari nella Chiesa e nella società”. Si intitola così il VI Congresso mondiale della Pastorale per gli zingari, che inizierà domani a Freising, in Germania, e si concluderà il prossimo 4 settembre. Promosso dal Pontificio Consiglio della Pastorale per i migranti e gli itineranti, in collaborazione con la Conferenza episcopale tedesca, il Congresso centra quest’anno il dibattito sulla formazione delle giovani generazioni nomadi da parte dei Paesi d’accoglienza: formazione che potrebbe facilitare l’integrazione del resto delle comunità zingare, che in tutto il mondo arrivano a un totale di 36 milioni di persone. Ad introdurre i lavori sarà il segretario del dicastero pontificio, l’arcivescovo Agostino Marchetto. Fabio Colagrande lo ha intervistato:RealAudioMP3

R. - Purtroppo, i giovani zingari sono di solito maggiormente soggetti alle situazioni di svantaggio e di discriminazione rispetto ai loro coetanei gağé (non-Zingari). Quindi, con questo Congresso desideriamo considerare le loro le necessità spirituali e materiali, denunciare e sanare le situazioni di svantaggio che oggettivamente gravano su di loro, e, inoltre, individuare modi più adeguati con i quali sostenere la loro formazione umana, professionale e religiosa. In più, offriremo loro occasione per esprimere le proprie attese e necessità per favorire un’autentica integrazione - che non è assimilazione - e una maggiore partecipazione nei progetti e nelle decisioni e attività che li riguardano.
 
D. - Dal primo Congresso, celebratosi nel ’64, con il sostegno e l’incoraggiamento di Papa Paolo VI, quanto e come è cresciuta la preparazione degli operatori pastorali in questo settore?
 
R. - In quell’incontro, il Papa esortò i Vescovi e i Congressisti a un maggior impegno per raggiungere più efficacemente il mondo tanto diverso degli Zingari. Posso dire, con soddisfazione, che il numero degli operatori pastorali a loro favore è cresciuto notevolmente nel mondo. Oggi, in quasi tutti i Paesi europei esiste una struttura pastorale specifica (al congresso di Freising saranno rappresentate 25 Conferenze Episcopali). Per quanto riguarda la loro formazione, il Pontificio Consiglio organizza regolarmente i Congressi Mondiali, le giornate di studio e di riflessione, mentre le Chiese locali promuovono incontri nazionali, ritiri spirituali, pellegrinaggi. L’anno scorso, poi, il nostro Dicastero ha convocato il primo Incontro mondiale di sacerdoti, diaconi, religiosi e religiose di origine zingara, al quale hanno risposto in una quarantina. Per favorire una migliore pastorale specifica, il Pontificio Consiglio ha pubblicato, l’8 dicembre 2005, gli Orientamenti per una Pastorale degli Zingari, il primo documento della Chiesa, nella sua dimensione universale, dedicato alla popolazione zingara e ai nomadi in generale.
 
D. - Negli “Orientamenti” affermavate che per la Chiesa l’accoglienza degli zingari rappresentava una sfida. E’ una sfida che oggi vi sentite di poter vincere?
 
R. - Personalmente, credo che la Chiesa sia in grado di vincere tale sfida. E questo grazie, in gran parte, alle persone che sono impegnate nella pastorale degli Zingari, ma soprattutto grazie agli Zingari consacrati. Forse non è a tutti noto che sono ormai un centinaio i sacerdoti, dfiaconi, religiosi e suore di origine zingara. Un ragguardevole numero ne conta l’India - una ventina di presbiteri - cui segue l’Ungheria, con una decina di sacerdoti e consacrati, la Slovacchia, la Spagna e la Romania. La Francia è, finora, l’unico Paese in cui il direttore nazionale della Pastorale per gli Zingari è un loro presbitero, coadiuvato da un altro sacerdote, 3 diaconi permanenti, 2 Suore e una laica consacrata, tutti Zingari. D’altro canto, certamente non tutto dipende dalla Chiesa. Negli stessi “Orientamenti” dicevamo pure che, per poter parlare di un’autentica accoglienza, intesa anche in termini di integrazione e di incontro di culture, è necessario un grande cambiamento di mentalità, anche in ambito civile. Accoglienza richiede appunto la considerazione dell’identità e dignità dell’altro, e conseguente impegno per garantirgli una vita dignitosa e il rispetto dei diritti fondamentali. Purtroppo, molto spesso ancora nei nostri rapporti con gli Zingari ci lasciamo guidare da pregiudizi e preconcetti nei loro confronti.
 
D. - Lei ritiene che oggi gli zingari siano vittime di provvedimenti discriminatori in alcuni Paesi?
 
R. - Sì, purtroppo. Basta pensare alle polemiche suscitate negli ultimi mesi da alcuni provvedimenti legislativi sfavorevoli alle popolazioni zingare. Dai rapporti che ci pervengono dalle Chiese locali, costatiamo che un po’ dappertutto gli Zingari sono vittime di discriminazione, disuguaglianza, e altresì razzismo e xenofobia. Consideriamo, per esempio la situazione in Europa: i Rom e Sinti, pur se cittadini di Stati membri e muniti di documenti validi, non possono godere degli stessi diritti dei comuni cittadini. In alcuni Paesi, i bambini zingari sono costretti a frequentare scuole speciali per disabili fisici o mentali, mentre non poche donne vengono sottoposte a sterilizzazione forzata. La generale mancanza di fiducia fa sì che ai giovani, pur se ben preparati professionalmente, non sia concesso l’ingresso al mondo del lavoro come per gli altri.
 
D. - Qual è la strada che la Chiesa indica per favorire una maggior apertura delle comunità ospitanti nei loro confronti?
 
R. - Prima di tutto, direi, uno sforzo comune per una migliore conoscenza della situazione delle comunità zingare dall’interno, della loro cultura e storia. Il ruolo fondamentale possono svolgere in questo processo le scuole e i mass-media, nonché i mediatori culturali. Occorre, infatti, offrire alla società circostante un’immagine anche positiva degli Zingari per sradicare preconcetti persistenti. È necessario anche lavorare in comune accordo con gli Zingari, non ignorando la loro identità, il loro modo di vita, le tradizioni, la specificità del lavoro e soprattutto, come ho già detto, la cultura. Se non c’è rispetto per la cultura delle popolazioni zingare, sarà difficile giungere a una reale integrazione e dunque, in prospettiva, anche a un accettabile grado di scurezza sociale.
 
D. - Perché, a volte, l’impegno della Chiesa per l’accoglienza degli Zingari viene scambiato per ingerenza nelle politiche migratorie dei diversi stati nazionali?
 
R. - È l’indole propria della Chiesa essere profondamente impegnata in ciò che riguarda la vita dei suoi figli e della società in cui vivono, e quindi non rimanere estranea alle questioni sociali, esercitando anche l’advocacy nella difesa dei diritti umani di tutti. La Chiesa si propone di assistere l'uomo sul cammino della salvezza, ma essa ha pure una propria Dottrina sociale, con la quale incidere sulla società e sulle sue strutture. È un suo diritto-dovere evangelizzare il sociale, ossia far risuonare la parola del Vangelo nel complesso mondo contemporaneo. Da qui, deriva anche il dovere di prendere una posizione ferma e decisa - pur rispettosa delle competenze proprie a ciascuno - nelle situazioni in cui la dignità della persona umana e i suoi diritti siano calpestati, quando gli esseri umani soffrano per ingiustizie, discriminazioni o emarginazioni. Quindi, essa fa il proprio dovere anche quando condanna l’operato o deplora le decisioni degli Stati che offendono od opprimono la dignità umana. Questa sua posizione, purtroppo, è intesa spesso come, appunto, un’ingerenza politica. La Chiesa, invece, al di sopra dei partiti, si mette dalla parte dei più deboli, difende coloro che soffrono e dà voce a quelli che non l’hanno, come diceva Giovanni Paolo II, nel rispetto comunque della legalità e della sicurezza. Accoglienza e sicurezza vanno insieme come abbiamo detto molte volte.
 
D. - C’è nei giovani zingari la consapevolezza di dover collaborare a un migliore inserimento dei loro gruppi etnici nella società?
 
R. - Decisamente sì. La maggioranza dei giovani zingari ha maturato la consapevolezza di dover e voler svolgere un ruolo da protagonista nei processi decisionali e politici che riguardano la promozione umana e sociale delle loro etnie. Essi sono convinti che non possono esserci strategie internazionali e nazionali efficaci in questo senso, senza la loro partecipazione nella preparazione e attuazione di queste strategie. Tale consapevolezza - come sostiene una giovane Sinta italiana nella sua relazione al Congresso - si esprime in forme diverse dal passato, più pronte al confronto culturale e politico con la società maggioritaria. Ella ci avverte inoltre che sarà difficile poter parlare di un futuro costruttivo degli zingari se questi non saranno coinvolti pienamente nelle politiche che riguardano la loro esistenza. Si nota anche maggior impegno per la formazione di giovani attivisti/mediatori zingari, i quali possano servire da canali di comunicazione tra le proprie comunità, le istituzioni e la popolazione maggioritaria, oppure da sostegno ai propri coetanei nel proseguire una buona preparazione professionale e per sradicare la diffidenza presente nelle loro comunità, come anche pregiudizi negativi persistenti nella gran parte delle nostre società.
 
D. - Quale messaggio vorrebbe che arrivasse dall’incontro di Freising a tutte le comunità zingare e a quei Paesi ospitanti che sono impegnati, talora con difficoltà, nella loro accoglienza?
 
R. - Prima di tutto, un messaggio di solidarietà e di comunione, in un contesto di speranza. È il nostro desiderio rassicurare gli Zingari che sono al centro della preoccupazione della Chiesa, in quanto figli dello stesso Padre. Pur se spesso relegati ai margini delle società e discriminati, essi continuano ad occupare il posto che spetta loro, come disse Paolo VI, “nel cuore della Chiesa”. Vogliamo incoraggiare i giovani Zingari ad un impegno concreto e duraturo per migliorare le condizioni di vita delle loro comunità, e per difendere la propria dignità e i propri diritti. Allo stesso tempo, non si mancherà di ricordare loro anche il dovere di assumere tutti gli obblighi che una partecipazione responsabile alla vita sociale, politica ed ecclesiale comporta. Un invito, poi, agli uomini di buona volontà e alle comunità ospitanti, ad aprire cammini di fiducia e rispetto, di comprensione e perdono reciproco. Occorre ricordare che il rispetto della dignità trascendente della persona umana è il principio supremo che deve governare la convivenza umana, culturale e religiosa. Una raccomandazione, quindi, anche a lasciarsi coinvolgere in una maggiore apertura con gesti concreti di aiuto e sostegno. E agli Stati, un appello per adottare una normativa che davvero tuteli i diritti delle popolazioni zingare e le protegga da discriminazione, razzismo ed emarginazione. Infine, un invito ad un dialogo aperto e costruttivo con le rappresentanze zingare.







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