All’Angelus, appello del Papa sull’immigrazione: i Paesi di accoglienza e quelli di
origine lavorino con spirito umanitario e impegno nello stroncare le cause dell’immigrazione
irregolare
E’ stato un Angelus dominato da parole di grande intensità quello pronunciato questa
mattina da Benedetto XVI nel Palazzo apostolico di Castel Gandolfo. Di fronte alla
consueta folla radunata del cortile, che lo ha più volte acclamato e applaudito, il
Papa - colpito dalle ultime, drammatiche pagine di cronaca riguardanti gli immigrati
- ha chiesto con forza ai Paesi di approdo di aprire le proprie porte con spirito
umanitario e a quelli di partenza di stroncare alle radici” quanto di criminale c’è
dietro tali viaggi, che mettono a repentaglio la vita di migliaia di persone. In precedenza,
riflettendo sulle forze disgregatrici che sembrano dominare nel mondo attuale, Benedetto
XVI aveva invitato i cristiani a rispondere alla malvagità con la forza dell’amore
che viene dalla Croce di Gesù. Il servizio di Alessandro De Carolis:
I viaggi
della speranza strasformati in incubi senza approdo. Uomini, ma più spesso donne,
con i figli stretti in braccio o ancora in grembo, annidati su piccoli scafi, che
sfidano forze più grandi di loro per fuggire da povertà o da guerre e che troppo spesso
da quelle forze finiscono schiacciati. Da anni, purtroppo, le acque del Mediterraneo
sono diventate un’immensa tomba a cielo aperto, nella quale migliaia di immigrati
hanno trovato e trovano la morte. E l’ultima di queste tragedie - le 70 persone naufragate
a 40 miglia dall’Isola di Malta, mercoledì scorso - hanno indotto Benedetto XVI a
dedicare un lunga, accorata riflessione al termine dell’Angelus. Dopo aver stigmatizzato
“l’alto numero di vittime” di queste traversate e aver ribadito come la migrazione
sia un fenomeno antichissimo che ha caratterizzato da sempre “le relazioni tra popoli
e nazioni”, tuttavia ha osservato il Pontefice: “L’emergenza
in cui si è trasformata nei nostri tempi (...) ci interpella e, mentre sollecita la
nostra solidarietà, impone, nello stesso tempo, efficaci risposte politiche. So che
molte istanze regionali, nazionali e internazionali si stanno occupando della questione
della migrazione irregolare: ad esse va il mio plauso e il mio incoraggiamento, affinché
continuino la loro meritevole azione con senso di responsabilità e spirito umanitario.
Senso di responsabilità devono mostrare anche i Paesi di origine, non solo perché
si tratta di loro concittadini, ma anche per rimuovere le cause di migrazione irregolare,
come pure per stroncare, alle radici, tutte le forme di criminalità ad essa collegate”.
Inoltre, ha proseguito nella sua disamina Benedetto XVI,
“i Paesi europei e comunque quelli meta di immigrazione sono, tra l’altro, chiamati
a sviluppare di comune accordo iniziative e strutture sempre più adeguate alle necessità
dei migranti irregolari: “Questi ultimi, poi, vanno pure
sensibilizzati sul valore della propria vita, che rappresenta un bene unico, sempre
prezioso, da tutelare di fronte ai gravissimi rischi a cui si espongono nella ricerca
di un miglioramento delle loro condizioni e sul dovere della legalità che si impone
a tutti. Come Padre comune, sento il profondo dovere di richiamare l’attenzione di
tutti sul problema e di chiedere la generosa collaborazione di singoli e di istituzioni
per affrontarlo e trovare vie di soluzione”. Prima di questo
appello, il pensiero domenicale del Papa si era soffermato sulla natura del male che
in molte forme si coglie nel mondo e sulla salvezza portata dall’amore “disarmato”
di Gesù. Lo spunto offerto dal Vangelo di oggi - con Pietro che augura al suo Maestro
di scampare dalla morte che lo attende a Gerusalemme - ha permesso a Benedetto XVI
di presentare il mistero della salvezza divina, che passa attraverso una morte infame,
sulla croce, del Figlio di Dio. Non si è certo trattato, ha detto il Papa tra gli
applausi, di un “disegno crudele” del Padre celeste, quanto di una scelta causata
dalla “gravità della malattia da cui doveva guarirci”, pagata attraverso il sangue
e sublimata dalla Risurrezione. Eppure, ha continuato Benedetto XVI, “la lotta non
è finita”: “Il male esiste e resiste in ogni generazione,
anche ai nostri giorni. Che cosa sono gli orrori della guerra, le violenze sugli innocenti,
la miseria e l’ingiustizia che infieriscono sui deboli, se non l’opposizione del male
al Regno di Dio? E come rispondere a tanta malvagità se non con la forza disarmata
e disarmante dell’amore che vince l’odio, della vita che non teme la morte? E’ la
stessa misteriosa forza che usò Gesù, a costo di essere incompreso e abbandonato da
molti dei suoi”. E ora quella scelta di Gesù, ha soggiunto
il Papa, è responsabilità di ogni suo seguace: “Come per
Cristo, così pure per i cristiani portare la croce non è dunque facoltativo, ma è
una missione da abbracciare per amore. Nel nostro mondo attuale, dove sembrano dominare
le forze che dividono e distruggono, il Cristo non cessa di proporre a tutti il suo
chiaro invito: chi vuol essere mio discepolo, rinneghi il proprio egoismo e porti
con me la croce”. Nei saluti in cinque lingue al termine
dell’Angelus, durante i quali Benedetto XVI si è rivolto fra gli altri ai sacerdoti
salesiani e alle Suore Domenicane Missionarie di San Sisto, il Papa ha avuto parole
di particolare attenzione per i vescovi e i fedeli cubani che si apprestano, l’8 settembre,
ad inaugurare il triennio di preparazione al 400.mo anniversario del ritrovamento,
ad opera di tre indios, dell’immagine mariana di Nostra Signora della Carità del Cobre,
risalente al 1612. Augurando ai fedeli cubani di essere sempre più, per intercessione
della Vergine, “missionari del Vangelo in ogni circostanza della vita”, Benedetto
XVI ha concluso: “Que Dios bendiga a Cuba y a todos los cubanos!” (applausi)