Le scuole cattoliche in India chiudono venerdì per protesta contro gli attacchi alla
comunità cattolica. Il cardinale Oswald Gracias, presidente dei vescovi locali: le
autorità intervengano al più presto
Ancora violenze contro i cristiani nello Stato indiano dell’Orissa, dove si allarga
il fronte delle rivolte compiute da radicali indù. Il bilancio delle vittime, ancora
provvisorio, è salito ad 11 morti. Il governo ha decretato il coprifuoco in diverse
città e sono state schierate anche truppe antisommossa. Ma gli attacchi non si fermano.
Per protestare contro queste continue violenze venerdì prossimo resteranno chiuse
le scuole cattoliche. E’ stata anche indetta per il 7 settembre una giornata di preghiera
e digiuno. La comunità cristiana, intanto, teme che la situazione possa degenerare
e chiede un’adeguata cornice di sicurezza. E’ quanto sottolinea, al microfono di
Amedeo Lomonaco, il cardinale Oswald Gracias, arcivescovo di Bombay
e presidente della conferenza episcopale indiana:
R.
- I cristiani in Orissa stanno vivendo con paura, perché non sanno che cosa accadrà.
Almeno 25 chiese cristiane sono distrutte. C’è violenza, c’è un’ostilità che sta aumentando.
Abbiamo rivolto un appello al governo affinché intervenga subito.
D.
- Il Papa ha lanciato oggi un appello invitando leader religiosi e autorità
civili a lavorare insieme per promuovere la convivenza pacifica. Come procede in India
il dialogo tra le varie realtà della società? R. - Ci sono tante
iniziative che la Chiesa cattolica ha fatto per il dialogo, tante iniziative alle
quali stanno seguendo buoni risultati. Purtroppo, in Orissa, non ci sono state iniziative
di questo genere.
D. - Quando si parla di persecuzione,
si pensa soprattutto a Paesi islamici o a regimi comunisti. Ci sono poi altri Paesi,
come l’India, dove l’intolleranza è alimentata dal fondamentalismo indù. Quali sono
le caratteristiche di questa nuova offensiva anticristiana in Orissa?
R.
- Lo scorso dicembre, c’è stata un'ondata di violenza contro i cristiani. Dopo questi
episodi, la situazione è andata migliorando ma è rimasta alta la tensione. Due-tre
giorni fa, un capo indù è stato assassinato e queste che vediamo sono reazioni a quell’omicidio.
D.
- In India, le violenze seguono dinamiche presenti in altri Stati dove le comunità
cristiane vengono perseguitate perché diffondono principi fondati sulla persona e
sulla libertà. Possiamo dire, eminenza, che il fondamentalismo non solo cerca di contrastare
il cristianesimo ma lo stesso sistema di vita dell’Occidente? R.
- Senz’altro, perché queste forze fondamentaliste non vogliono che la Chiesa lavori
per i diritti umani, per i poveri. Non vogliono che la Chiesa contribuisca ad innalzare
il livello di vita di questa gente: per questo ci sono problemi
D.
- Alle persecuzioni i cristiani hanno già risposto, nella storia, difendendo
con la forza della fede la parola del Vangelo e dei più deboli. In India, quale risposta
deve dare la Chiesa, con l’aiuto della società, per spegnere il fuoco dell’intolleranza? R.
- Adesso servono la preghiera e la fede nella Croce di Gesù. Adesso, dopo la violenza,
dobbiamo esaminarne le cause e chiederci come evitare questo in futuro.
D.
- Tra i nemici dei sistemi totalitari ci sono anche l’educazione e l’evangelizzazione,
soffi di libertà che non possono rimanere a lungo ingabbiati nelle grinfie di un sistema
violento. Il fondamentalismo è comunque una pagina destinata al fallimento… D.
- Certamente, non può avere successo. La nostra speranza è nella risurrezione di Gesù
e noi sappiamo che la vittoria sarà sempre di Gesù.