L'ambasciatrice USA presso la Santa Sede, Glendon, ospite al Meeting di Rimini. La
situazione della Chiesa in Arabia nelle parole di mons. Paul Hinder: "Ci sono segnali
di dialogo"
L’esperienza ministeriale e di missione dell’arcivescovo della Madre di Dio a Mosca,
mons. Paolo Pezzi, e la storia toccante dell’"Angelo del Burundi" che salva 10 mila
bambini dalla disperazione, ma anche la giustizia e i diritti umani. Sono facce diverse
di una stessa medaglia quelle che continuano a emergere dal Meeting di Rimini: facce
di un protagonismo "diverso", che proviene dai più lontani angoli del pianeta e che
abbraccia gli ambiti più disparati. Il servizio della nostra inviata Debora Donnini.
I diritti
umani devono essere ancorati alla ragione e ad un ordine naturale per non essere preda
e vittima di desideri che aumentano sempre di più, toccando in modo a volte pericoloso
la vita umana. Il rischio è di creare orrori, in nome della pietà. Non ci possono
invece essere diritti senza responsabilità. E’ questo il cuore degli interventi all’incontro
su “Giustizia e diritti umani” cui hanno preso parte stamani Mary Ann Glendon, ambasciatrice
americana presso la Santa Sede, il professor Joseph Weiler, professore ed esperto
di diritto internazionale, che nel suo discorso si è richiamato alla Bibbia, e Martha
Cartabia, docente di Diritto costituzionale. Tanti i riferimenti all’intervento di
Benedetto XVI alle Nazioni Unite nel 60.mo della Dichiarazione universale dei diritti
dell’uomo.
Della sua vita e della sua missione ha
parlato ieri mons. Paolo Pezzi, proprio sulla falsariga del titolo del Meeting “O
protagonisti o nessuno”. Da giovane, ha affermato, pensavo fosse importante emergere
in un campo specifico. Poi la comprensione - anche con l’incontro con Comunione e
liberazione - che il centro è vedere Cristo nelle circostanze della propria vita.
La vita da vescovo, racconta, ha anche momenti aridi, come quando si svolgono questioni
amministrative o si resta imbottigliati nel traffico moscovita. Ma anche lì si può
dire sì a Cristo.
"E sono andato scoprendo che proprio
il 'sì' detto a persone e a certe circostanze ti rende familiare Cristo. E da questa
familiarità con Lui nasce una certezza di bene che tende a investire anche il rapporto
con tutte le altre circostanze, con tutte le altre persone, anche quelle che sono,
non solo appaiono, esteriormente più avverse".
“Senza
il contatto continuo con Cristo la misura del vivere è il calcolo, in una preoccupazione
continua per quella che ancora non c’è”. L’arcivescovo ha anche parlato degli incontri
con i preti ortodossi, incontri informali, che non vanno sulle pagine dei giornali
ma costruiscono rapporti nuovi. L’ecumenismo non è una utopica unità fondata sulla
rinuncia alla propria identità. Avvicinarsi e aprirsi a volte può sembrare difficile,
ma noi sappiamo che Cristo vincendo la morte ha vinto inimicizia e divisione.
E’
chiamata l’"Angelo del Burundi" Marguerite Barankitse, fondatrice della Mason
Shalom, la cui testimonianza ha tenuto incollata ieri una folla enorme. Maggy,
come viene chiamata, ha accolto 10 mila bambini orfani di entrambe le etnie, hutu
e tutsi, a causa delle violenze interetniche ed è lì, nei loro occhi, che capisce
il senso della sua difficile missione. E alla domanda "dov’è Dio", capisce che è il
loro sguardo a risponderle. Oggi, molti di questi bambini, ormai cresciuti, sono sposati,
lavorano, sono vivi. E ha strappato lacrime l’esperienza di Vicky, ugandese. Il marito
le trasmette l’AIDS e l’abbandona, anche il figlio che nasce è malato. La sua vita
sprofonda nella disperazione più nera, finché non incontra Rose del meeting point
di Kampala. Comincia la terapia, ma soprattutto ritrova la speranza e la fede e la
sua vita, anche nella croce, comincia a risorgere. Esperienze dunque di "protagonisti"
anche se in modo diverso da come normalmente l’intendiamo. Gente salvata da veri protagonisti,
da quell’Amore che è più forte della morte.
Nelle sale
del Meeting riminese si è potuta ascoltare ieri una importante testimonianza sulla
situazione dei cristiani nella penisola araba. A portarla è stato il vicario aspotolico
dell'area, mons. Paul Hinder. Luca Collodi gli ha chiesto di descrivere
la vita della minoranza cattolica, che forma una comunità multiculturale complessa:
R. - Questi
cristiani, che molto probabilmente sono almeno due milioni in tutta la penisola, vivono
secondo le condizioni dove si trovano perché la situazione della libertà religiosa
è un po’ precaria: non c’è una libertà religiosa nel senso come la intendiamo noi,
è una libertà di culto limitato. In tutti i Paesi - eccetto che in Arabia Saudita
- abbiamo i nostri luoghi dove possiamo lecitamente celebrare le nostre liturgie,
vivere le nostre parrocchie. Per esempio, negli Emirati Arabi Uniti, abbiamo attualmente
sette parrocchie e spero che nel futuro ce ne siano ancora di più. In Oman, ne abbiamo
quattro, come anche nello Yemen. Una invece per tutto il Paese in Qatar e una - fra
poco due - in Bahrain. Poi come ho detto, c’è una situazione particolare in Arabia
Saudita dove anche c’è qualcosa in movimento.
D.
- Quindi i cristiani sono tollerati?
R. - I cristiani
sono tollerati, hanno anche la possibilità di dichiararsi cristiani almeno in cinque
di questi sei Paesi. Questa non è la difficoltà maggiore anche se, forse, c’è qualche
rischio riguardo a qualche gruppo, diciamo, radicale. Però prendiamo il caso di Abu
Dhabi: lì non c’è difficoltà ad avere un simbolo religioso, i cristiani molto spesso
hanno la corona del Rosario nella macchina e io posso andare con l’abito religioso
anche in città. Se viaggio, posso ancora andare con il clergymen, ciò non crea
i problemi maggiori.
D. - Cioè, lei può girare in
questi Paesi, vestito da vescovo, da sacerdote?
R.
- Generalmente sì. Ci sono posti in cui non lo faccio per prudenza, anche rispettando
un po’ coloro che devono viverci e che mi dicono, qualche volta, che in queste situazioni
è meglio muoversi in un modo più neutro.
D. - Mons.
Hinder, lei ha la speranza di aprire nuovi spazi di dialogo, ad esempio, con l’Arabia
Saudita?
R. - La speranza c’è, e poi ci sono dei
segni: per esempio il fatto che il re dell’Arabia Saudita abbia invitato recentemente
anche me ad andare a Madrid per la Conferenza sul dialogo. Sfortunatamente, non ho
potuto andarci perché ero già impegnato con la Giornata Mondiale della Gioventù a
Sydney. C’è dunque un’apertura, una volontà di migliorare i rapporti tra le due grandi
religioni monoteistiche e non c’è dubbio che sia onesto da parte loro. Ci sono altri
segni che ho ricevuto da parte di un responsabile anche impegnato nel dialogo interreligioso,
che mi ha invitato, in quanto vescovo, ad un ricevimento per l’apertura del Ramadan.
Questi sono segni, almeno in una certa fascia della società musulmana, di una volontà
seria di migliorare i rapporti.