2008-08-27 14:27:37

L'ambasciatrice USA presso la Santa Sede, Glendon, ospite al Meeting di Rimini. La situazione della Chiesa in Arabia nelle parole di mons. Paul Hinder: "Ci sono segnali di dialogo"


L’esperienza ministeriale e di missione dell’arcivescovo della Madre di Dio a Mosca, mons. Paolo Pezzi, e la storia toccante dell’"Angelo del Burundi" che salva 10 mila bambini dalla disperazione, ma anche la giustizia e i diritti umani. Sono facce diverse di una stessa medaglia quelle che continuano a emergere dal Meeting di Rimini: facce di un protagonismo "diverso", che proviene dai più lontani angoli del pianeta e che abbraccia gli ambiti più disparati. Il servizio della nostra inviata Debora Donnini.RealAudioMP3

I diritti umani devono essere ancorati alla ragione e ad un ordine naturale per non essere preda e vittima di desideri che aumentano sempre di più, toccando in modo a volte pericoloso la vita umana. Il rischio è di creare orrori, in nome della pietà. Non ci possono invece essere diritti senza responsabilità. E’ questo il cuore degli interventi all’incontro su “Giustizia e diritti umani” cui hanno preso parte stamani Mary Ann Glendon, ambasciatrice americana presso la Santa Sede, il professor Joseph Weiler, professore ed esperto di diritto internazionale, che nel suo discorso si è richiamato alla Bibbia, e Martha Cartabia, docente di Diritto costituzionale. Tanti i riferimenti all’intervento di Benedetto XVI alle Nazioni Unite nel 60.mo della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo.

 
Della sua vita e della sua missione ha parlato ieri mons. Paolo Pezzi, proprio sulla falsariga del titolo del Meeting “O protagonisti o nessuno”. Da giovane, ha affermato, pensavo fosse importante emergere in un campo specifico. Poi la comprensione - anche con l’incontro con Comunione e liberazione - che il centro è vedere Cristo nelle circostanze della propria vita. La vita da vescovo, racconta, ha anche momenti aridi, come quando si svolgono questioni amministrative o si resta imbottigliati nel traffico moscovita. Ma anche lì si può dire sì a Cristo.

 
"E sono andato scoprendo che proprio il 'sì' detto a persone e a certe circostanze ti rende familiare Cristo. E da questa familiarità con Lui nasce una certezza di bene che tende a investire anche il rapporto con tutte le altre circostanze, con tutte le altre persone, anche quelle che sono, non solo appaiono, esteriormente più avverse".

 
“Senza il contatto continuo con Cristo la misura del vivere è il calcolo, in una preoccupazione continua per quella che ancora non c’è”. L’arcivescovo ha anche parlato degli incontri con i preti ortodossi, incontri informali, che non vanno sulle pagine dei giornali ma costruiscono rapporti nuovi. L’ecumenismo non è una utopica unità fondata sulla rinuncia alla propria identità. Avvicinarsi e aprirsi a volte può sembrare difficile, ma noi sappiamo che Cristo vincendo la morte ha vinto inimicizia e divisione.

 
E’ chiamata l’"Angelo del Burundi" Marguerite Barankitse, fondatrice della Mason Shalom, la cui testimonianza ha tenuto incollata ieri una folla enorme. Maggy, come viene chiamata, ha accolto 10 mila bambini orfani di entrambe le etnie, hutu e tutsi, a causa delle violenze interetniche ed è lì, nei loro occhi, che capisce il senso della sua difficile missione. E alla domanda "dov’è Dio", capisce che è il loro sguardo a risponderle. Oggi, molti di questi bambini, ormai cresciuti, sono sposati, lavorano, sono vivi. E ha strappato lacrime l’esperienza di Vicky, ugandese. Il marito le trasmette l’AIDS e l’abbandona, anche il figlio che nasce è malato. La sua vita sprofonda nella disperazione più nera, finché non incontra Rose del meeting point di Kampala. Comincia la terapia, ma soprattutto ritrova la speranza e la fede e la sua vita, anche nella croce, comincia a risorgere. Esperienze dunque di "protagonisti" anche se in modo diverso da come normalmente l’intendiamo. Gente salvata da veri protagonisti, da quell’Amore che è più forte della morte.

 
Nelle sale del Meeting riminese si è potuta ascoltare ieri una importante testimonianza sulla situazione dei cristiani nella penisola araba. A portarla è stato il vicario aspotolico dell'area, mons. Paul Hinder. Luca Collodi gli ha chiesto di descrivere la vita della minoranza cattolica, che forma una comunità multiculturale complessa:RealAudioMP3

R. - Questi cristiani, che molto probabilmente sono almeno due milioni in tutta la penisola, vivono secondo le condizioni dove si trovano perché la situazione della libertà religiosa è un po’ precaria: non c’è una libertà religiosa nel senso come la intendiamo noi, è una libertà di culto limitato. In tutti i Paesi - eccetto che in Arabia Saudita - abbiamo i nostri luoghi dove possiamo lecitamente celebrare le nostre liturgie, vivere le nostre parrocchie. Per esempio, negli Emirati Arabi Uniti, abbiamo attualmente sette parrocchie e spero che nel futuro ce ne siano ancora di più. In Oman, ne abbiamo quattro, come anche nello Yemen. Una invece per tutto il Paese in Qatar e una - fra poco due - in Bahrain. Poi come ho detto, c’è una situazione particolare in Arabia Saudita dove anche c’è qualcosa in movimento.

 
D. - Quindi i cristiani sono tollerati?

 
R. - I cristiani sono tollerati, hanno anche la possibilità di dichiararsi cristiani almeno in cinque di questi sei Paesi. Questa non è la difficoltà maggiore anche se, forse, c’è qualche rischio riguardo a qualche gruppo, diciamo, radicale. Però prendiamo il caso di Abu Dhabi: lì non c’è difficoltà ad avere un simbolo religioso, i cristiani molto spesso hanno la corona del Rosario nella macchina e io posso andare con l’abito religioso anche in città. Se viaggio, posso ancora andare con il clergymen, ciò non crea i problemi maggiori.

 
D. - Cioè, lei può girare in questi Paesi, vestito da vescovo, da sacerdote?

 
R. - Generalmente sì. Ci sono posti in cui non lo faccio per prudenza, anche rispettando un po’ coloro che devono viverci e che mi dicono, qualche volta, che in queste situazioni è meglio muoversi in un modo più neutro.

 
D. - Mons. Hinder, lei ha la speranza di aprire nuovi spazi di dialogo, ad esempio, con l’Arabia Saudita?

 
R. - La speranza c’è, e poi ci sono dei segni: per esempio il fatto che il re dell’Arabia Saudita abbia invitato recentemente anche me ad andare a Madrid per la Conferenza sul dialogo. Sfortunatamente, non ho potuto andarci perché ero già impegnato con la Giornata Mondiale della Gioventù a Sydney. C’è dunque un’apertura, una volontà di migliorare i rapporti tra le due grandi religioni monoteistiche e non c’è dubbio che sia onesto da parte loro. Ci sono altri segni che ho ricevuto da parte di un responsabile anche impegnato nel dialogo interreligioso, che mi ha invitato, in quanto vescovo, ad un ricevimento per l’apertura del Ramadan. Questi sono segni, almeno in una certa fascia della società musulmana, di una volontà seria di migliorare i rapporti.







All the contents on this site are copyrighted ©.