Trent’anni fa l’elezione di Giovanni Paolo I, per Benedetto XVI un “maestro di
verità e catecheta appassionato”. Il cardinale Scola: Papa Luciani fu una sorpresa
dello Spirito Santo
Il 26 agosto del 1978 veniva eletto alla Cattedra di Pietro il Patriarca di Venezia,
Albino Luciani. Un Pontificato brevissimo, quello di Giovanni Paolo I, durato solo
33 giorni eppure molto intenso e ricordato con grande affetto dai fedeli. L’8 ottobre
del 2006, Benedetto XVI si soffermò sulla figura di Papa Luciani con parole di gratitudine
in occasione della presentazione di un film su Giovanni Paolo I. Benedetto XVI lo
ricordò come “maestro di verità e catecheta appassionato”, che “a tutti i credenti
ricordava, con l’affascinante semplicità che gli era solita, l’impegno e la gioia
dell’evangelizzazione”. Nel servizio di Alessandro Gisotti, ripercorriamo alcuni
momenti del Pontificato di Giovanni Paolo I:
“Ecco che
cosa è la fede: arrendersi a Dio, ma trasformando la propria vita”: all’udienza generale
del 13 settembre 1978, la seconda del suo brevissimo Pontificato, Giovanni Paolo I
spiegava così il mistero della fede. E proprio l’arrendersi all’amore di Dio ha contraddistinto,
fin dall’infanzia, la vita di Albino Luciani, uomo proteso verso il prossimo. “Bisogna
voler bene al prossimo - era l’esortazione di Giovanni Paolo I - il Signore ce l'ha
raccomandato tanto. Io raccomando sempre non solo le grandi carità, ma le piccole
carità”. All’Angelus del 10 settembre 1978, Giovanni Paolo I descriveva questo amore
di Dio con parole sorprendenti:
“Noi siamo oggetto
da parte di Dio di un amore intramontabile. Sappiamo: ha sempre gli occhi aperti su
di noi, anche quando sembra ci sia notte. E' papà; più ancora è madre. Non vuol farci
del male; vuol farci solo del bene, a tutti. I figlioli, se per caso sono malati,
hanno un titolo di più per essere amati dalla mamma. E anche noi se per caso siamo
malati di cattiveria, fuori di strada, abbiamo un titolo di più per essere amati dal
Signore”. Di Albino Luciani colpivano
la dolcezza, la semplicità, l’umiltà. Qualità che, già a Venezia, i fedeli avevano
imparato ad apprezzare negli anni del suo Patriarcato. “Humilitas” era il suo motto
episcopale ripreso da San Carlo Borromeo. Un Papa “parroco del mondo” che stupiva
per la sua capacità di parlare a tutti, di farsi comprendere anche dai più piccoli.
Un esempio sono le parole pronunciate all’Angelus di domenica 17 settembre 1978:
“Anche
il Papa è stato alunno di queste scuole: ginnasio, liceo, università. Ma io pensavo
soltanto alla gioventù e alla parrocchia. Nessuno è venuto a dirmi: 'Tu diventerai
Papa'. Oh! se me lo avessero detto! Se me lo avessero detto, avrei studiato di più,
mi sarei preparato. Adesso invece sono vecchio, non c'è tempo”. I
numeri del suo Pontificato, durato un mese, sono tutti ad una cifra: 4 le udienze
generali, 5 gli Angelus, 2 omelie, 9 discorsi. Eppure, al di là del dato quantitativo,
Papa Luciani compì gesti importanti. Il 20 settembre si fece promotore di pace scrivendo
una lettera agli episcopati di Cile e Argentina, Paesi sull’orlo di una guerra. Impegno
ripreso poi con successo da Papa Wojtyla. Con grande attenzione, seguì i negoziati
per la pace in Medio Oriente, in corso a Camp David, incoraggiando i protagonisti
a rafforzare la via del dialogo. Tra i suoi atti, spicca la nomina dell’allora arcivescovo
di Monaco, Joseph Ratzinger, ad Inviato al terzo Congresso mariano dell’Ecuador. Nell’ultimo
Angelus, il 24 settembre, Papa Luciani ha in fondo consegnato un messaggio ai fedeli:
un invito a non lasciarsi vincere dal male, affidandosi con speranza all’amore di
Cristo:
“La gente talvolta dice: 'Siamo in una
società tutta guasta, tutta disonesta'. Questo non è vero. Ci sono tanti buoni ancora,
tanti onesti. Piuttosto, che cosa fare per migliorare la società? Io direi: ciascuno
di noi cerchi lui di essere buono e di contagiare gli altri con una bontà tutta intrisa
della mansuetudine e dell'amore insegnato da Cristo”.
Oggi
pomeriggio, il cardinalepatriarca di Venezia, Angelo Scola,
presiederà e concelebrerà, insieme ai vescovi del Triveneto, una Messa per ricordare
Papa Luciani a Canale d’Agordo, città natale di Giovanni Paolo I. Al microfono di
Alessandro Gisotti, il cardinale Scola mette l’accento sull’importanza del
Pontificato di Albino Luciani:
R. - Giovanni
Paolo I è stato veramente una grande sorpresa dello Spirito Santo, perché ha permesso,
con il suo intenso e breve insegnamento, ma soprattutto con la sua figura, il dilatarsi
cattolico del Papato. Ha permesso il passaggio dal Papa italiano al Papa proveniente
da ogni luogo e da ogni continente. Ha così preparato la straordinaria azione di Giovanni
Paolo II e anche quella di Benedetto XVI, che ha molti tratti in comune con Giovanni
Paolo I.
D. - Come ricordare oggi il pastore Albino
Luciani, al di là di quei tratti di dolcezza dell’animo, lo diceva anche lei, del
suo proverbiale sorriso, così amati dai fedeli?
R.
- Il sorriso di Papa Luciani non va dato troppo per scontato, va interpretato. Io
credo che sia l’esito di due virtù, che egli praticò sin dalla sua infanzia, e di
cui lui parla sovente: l’umiltà e l’obbedienza, che per lui vanno sempre insieme.
Quindi, non è un sorriso a buon mercato. Non fu buonismo. E, in effetti, per Papa
Luciani queste due virtù, cioè coniugare l’umiltà e l’obbedienza, sono l’esito di
una libertà che è sempre vigile ed è sempre tesa a ridire in ogni atto, in ogni circostanza
favorevole o sfavorevole, il suo sì a ciò che la Provvidenza domanda.
D.
- Questa descrizione ricorda tanto Benedetto XVI...
R.
- Esattamente! Infatti, io credo che Benedetto XVI abbia un’ammirazione profondissima
e delicatissima verso Papa Luciani, che andò ad incontrarlo a Bressanone, quando era
patriarca di Venezia, e l’allora professor Ratzinger venne una prima volta in vacanza
a Bressanone. Papa Benedetto ha accolto la straordinaria cultura e la profondità evangelizzatrice
di Giovanni Paolo I. Basta leggere i suoi “Illustrissimi” per rendersi conto di quale
finezza spirituale e di quale ampiezza di evoluzione e, ancora, di quale sensibilità
letteraria era dotato Giovanni Paolo I. La sua forza comunicativa era l’esito di questo
lavoro paziente di sentirsi come servitore del popolo santo di Dio, per il quale egli
si sforzava in tutti i modi di adeguare la sua comunicazione. Sarebbe bello poter
imparare un po’ da lui.
D. - Cosa ha dato il patriarca
Albino Luciani a Venezia, alla sua diocesi? Cosa resta oggi di quegli anni di patriarcato?
R.
- Il patriarca Luciani ha retto la diocesi in un momento di grande travaglio per tutto
il Paese e per tutta la cattolicità. Era il tempo del post-Concilio. Non sono state
poche le tensioni in diocesi in quel momento. Da allora, il patriarca le affrontò,
coniugando l’amore al senso dell’autorità che gli era propria. Lui aveva un senso
potente che il compito del pastore è l’unità del popolo di Dio. Quindi, era molto
esigente verso se stesso, nell’obbedienza, e domandava obbedienza, soprattutto ai
sacerdoti. Questo non fu talora senza problema. L’eredità è quella di una testimonianza
della bellezza, del dono totale della propria vita a Cristo, che si vede bene passando
in rassegna tutti i suoi insegnamenti. Soprattutto, penso alle omelie in San Marco,
ma anche agli incontri con i sacerdoti e a questo desiderio di evangelizzazione che
passò per lui sin dalla sua giovinezza, attraverso la catechesi. In questo, egli recuperò
la grande tradizione di un altro patriarca Papa, che fu Pio X.