2008-08-25 15:40:07

Chiuse le Olimpiadi, Pechino si appresta ad essere teatro delle "Paralimpiadi": protagonisti gli atleti diversamente abili. L'opinione di Luca Pancalli


Archiviate le XIX Olimpiadi di Pechino, a vincere e a restare nella storia dello sport sono come sempre gli atleti, il loro coraggio e i loro nomi. Lo stesso varrà, con un significato ancora più simbolico, per gli atleti che prenderanno parte ai primi di settembre ai Giochi Paralimpici, ovvero le Olimpiadi ‘parallele’ riservate ad atleti portatori di handicap. Atleti veri e propri - sottolinea Luca Pancalli, presidente del Comitato paralimpico italiano - che meritano una giusta attenzione da parte dei media e degli appassionati. La grande speranza - conclude Pancalli - è che l’evento paralimpico di Pechino possa rilanciare una seria riflessione sull’importanza dello sport per tutte le persone, senza distinzioni. Stefano Leszczynski lo ha intervistato:RealAudioMP3

R. - Al nostro interno c'è un movimento che è rappresentativo di una dimensione agonistica a tutti gli effetti, ma c’è anche un grandissimo movimento all’interno del quale si è mantenuta quella dimensione a contenuto sociale che lo caratterizza. Penso a tantissimi ragazzi, ad esempio, con disagio intellettivo e relazionale, o con disabilità più gravi o gravissime, per le quali magari la possibilità di una paralimpiade sarà sempre un sogno, ma che però amano praticare dello sport, consapevoli che sia poi un modo di occupare il proprio tempo libero, un modo di divertirsi giocando, utilizzando le potenzialità di questo formidabile strumento.

 
D. - Abbiamo assistito a degli atleti portatori di handicap che hanno lottato per poter gareggiare con i normodotati: questo fa bene allo sport paralimpico?

 
R. - Io credo assolutamente di sì, perché si evidenziano anche delle criticità, delle contraddizioni. Il movimento paralimpico si è sempre dovuto confrontare con la necessità di garantire equità nei punti di partenza, per cui è evidente che il nostro sport, in alcune discipline, faccia uso di tecnologia. Quella tecnologia che, come nell’automobilismo, piuttosto che in qualsiasi attività dove si usa un mezzo - penso al ciclismo - può fare la differenza. Si tratta comunque di un risultato positivo: anche solo per l’attenzione mediatica che ha avuto, voi immaginate che tipo di speranza possa suscitare questo tipo di messaggio in tanti altri ragazzi magari che vivono la medesima condizione di Oscar Pistorius.

 
D. - Forse possiamo mettere una punta polemica, anche se non maliziosa, sul fatto che la stessa attenzione non c’è in quella che è la vita quotidiana dei portatori di handicap...

 
R. - Questa è una profonda verità. Lo sport rappresenta, nonostante tutto, un’isola felice, e le difficoltà nella vita quotidiana, soprattutto per i disabili più gravi, gravissimi per le loro famiglie, sono ancora infinite. Però, se lo sport può rappresentare uno strumento di aiuto in questo processo di crescita culturale e di crescita di attenzione nei confronti delle problematiche vissute dalle persone disabili quotidianamente, ben venga.

 
D. - Cosa significa, per questi ragazzi, poter ricominciare a fare qualcosa di così importante?

 
R. - Innanzitutto, praticare dello sport è un modo per prendere coscienza dei propri limiti, questo sì, ma anche delle proprie enormi possibilità. E’ un modo di avanzare velocemente in un processo di inclusione, perché poi praticare dello sport significa anche vivere di squadra con altri ragazzi, significa viaggiare, partecipare a gare, uscire di casa.

 
D. - Un auspicio finale?

 
R. - Che si possano raggiungere i risultati che noi auspichiamo, in termini ovviamente di medagliere, perché è un fatto agonistico ed è giusto che sia trattato come puro e semplice fatto agonistico. Dall’altro, però, la speranza è che questi grandi eventi possano, con l’aiuto dei media, trovare quella giusta amplificazione, perché spesso non si ha idea di quanto possano essere importanti per attivare delle speranze, degli stimoli in tanti ragazzi che magari hanno subito incidenti da poco, in tanti ragazzi magari che non hanno ancora scoperto quel meraviglioso mondo sportivo che noi rappresentiamo, ecco. Quindi, la vera speranza che lo sport possa diventare un diritto di tutti e un diritto accessibile a tutti ecco.







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