2008-08-22 15:29:24

Iraq: raggiunto l’accordo per il ritiro delle truppe americane entro il 2011


Si fa sempre più concreta l’ipotesi di un disimpegno degli Stati Uniti dall’Iraq. Le truppe americane lasceranno il Paese del Golfo entro la fine del 2011. Sono questi i termini dell’accordo concluso tra negoziatori di Washington e di Baghdad. Il ritiro comincerà gradualmente dal giugno del prossimo anno. Ora, l’intesa dovrà essere esaminata dalla presidenza collegiale irachena. Quale futuro si intravede, dunque, per l’Iraq? Giancarlo La Vella lo ha chiesto a don Renato Sacco, di Pax Christi, rientrato di recente dal Paese iracheno:RealAudioMP3

R. - Credo che andrebbe detto, da una parte, che era meglio non andare, ascoltando Giovanni Paolo II, quando ci diceva che la guerra è un’avventura senza ritorno. Sul futuro che si prevede per l’Iraq, a dire il vero, sono un po’ perplesso, perché se gli Stati Uniti stanno costruendo la più grande ambasciata del mondo, proprio a Baghdad, non è che abbiano tanta voglia di togliersi da quel luogo così strategico per tutto il Medio Oriente. Credo anche che si possa controllare un Paese, non per forza girando per le strade, ma in altro modo. Il rischio è che poi si tenti di controllare politicamente ed economicamente un Paese, senza dare garanzie. Il diritto internazionale, però, prevedrebbe che la forza occupante si occupi della vita della gente.
 
D. - C’è una maturità nella gestione del Paese, assunta dalla nuova leadership irachena?
 
R. - Credo sia una maturità che vada aiutata: nel lavorare per il bene del Paese, nel ripudiare ogni forma di violenza.
 
D. - In quest’opera di aiuto, può avere un ruolo importante la comunità cristiana in Iraq?
 
R. - Credo che abbia un ruolo molto importante la comunità in Iraq ed anche i cristiani non in Iraq, per accompagnarli in questo difficile compito. con un impegno a favore della gente, contro la logica della violenza, perchè con la violenza non si ottiene nulla. Il rischio è che davvero sia proprio la presenza cristiana l’unica voce forte contro la violenza e credo che dobbiamo aiutarli a non sentirsi soli in questo impegno di pacificazione.

 
Georgia
L’esercito russo inizia a ritirarsi dalla città georgiana di Gori e ripiega entro i confini dell’Ossezia del sud. Dopo giorni di smentite e accuse, Tblisi conferma i movimenti delle truppe di Mosca e intanto il fronte della crisi si sposta lungo i confini delle provincie separatiste georgiane. Il servizio di Marco Guerra:RealAudioMP3

L'esercito russo ha iniziato a ritirarsi da Gori, promettendo di lasciare completamente la città georgiana entro le 17:00 locali e di ripiegare completamente in Ossezia del sud per le ore 20. La manovra delle colonne militari è stata comunicata telefonicamente da un generale russo al segretario del Consiglio di sicurezza georgiano, Alexandr Lomaia, che ha confermato la rimozione di due posti di blocco e la partenza di 12 blindati dalla città. Altre fonti riferiscono poi di una lunga colonna di veicoli diretti verso la regione separatista. In mattinata, il vicecapo di stato maggiore russo, Nogovitsin, aveva spiegato che il ritiro ''sarebbe stato completato entro la fine della giornata''. Ma dopo il susseguirsi di annunci, smentite e contro-smentite dei giorni scorsi, Tbilisi era ancora scettica sull’effettiva volontà di Mosca di far ripiegare l’esercito. Lo stesso responsabile del Comando statunitense in Europa, poche ore prima della conferma del ripiegamento, aveva denunciato un ritiro a “passo di lumaca”. Se a quanto sembra l’operazione sarà completata entro oggi, il fronte della crisi tornerà quindi lungo i confini delle provincie separatiste dell’Abkhazia dell’Ossezia del sud, sui quali Mosca ha detto già che installerà circa 36 checkpoint aggiuntivi rispetto a quelli presenti prima del conflitto. Intanto, dopo il parlamento dell'Abkhazia anche da quello dell’Ossezia del sud si è levata la richiesta formale a Mosca di riconoscere l'indipendenza di questa regione georgiana filorussa.

 
Pakistan
Il 6 prossimo settembre, il Pakistan sarà chiamato alle urne per eleggere il successore di Musharraf. La data delle elezioni presidenziali è stata resa oggi dalla Commissione elettorale centrale, il cui segretario ha precisato che le candidature potranno essere presentate formalmente a partire da martedì 26 agosto. Il nuovo capo dello Stato sarà eletto dal parlamento e dalle assemblee provinciali. In base alla Costituzione pakistana, il presidente va eletto entro trenta giorni dalla data in cui la massima carica istituzionale è rimasta vacante. Musharraf si dimesso lo scorso lunedì dopo un braccio di ferro con l'attuale governo di coalizione, che aveva minacciato di avviare una procedura di impeachment contro di lui, accusandolo di aver violato la Costituzione. Sul terreno, si registra intanto l’arresto del terzo kamikaze che ha rinunciato a farsi esplodere nel terribile attentato di ieri che ha fatto 64 morti.

Afghanistan
In Afghanistan, tre militari italiani sono rimasti feriti in modo non grave nell’esplosione che ha investito la loro pattuglia nelle vicinanze di Kabul. Si tratta dell’ennesimo atto di violenza nel Paese asiatico dove ieri hanno perso la vita 8 soldati della NATO, tre erano canadesi. L’Alleanza Atlantica ha smentito le voci di stampa riguardo alla morte per fuoco amico dei 10 militari francesi. Ieri, si sono svolti a Parigi i loro funerali.

Cina
Sono tre le vittime di due terremoti consecutivi registratisi oggi nel sud ovest della Cina, vicino alla frontiera con il Myanmar. Almeno un centinaio i feriti e diversi i danni. Dopo il sisma, le autorità hanno evacuato circa 3.400 persone dalla contea Yingjiang, nella provincia dello Yunnan, al confine con l’ex Birmania.

Algeria
Dopo la rivendicazione di al Qaeda per gli attentati che nei giorni scorsi hanno duramente colpito l’Algeria, cresce l’allarme terrorismo in tutta l’area del Mediterraneo. Negli attacchi sono morte complessivamente più di 50 persone. Nel messaggio di rivendicazione, un portavoce del Movimento terrorista, identificato come Salah Abu Mohammed, ha sostenuto che gli attacchi sono stati la risposta alla morte di un gruppo di 12 terroristi in Cabila. A Luciano Ardesi, giornalista esperto di Nord Africa, Stefano Leszczynski ha chiesto se la presenza di al Qaeda in Algeria rappresenti una novità:RealAudioMP3

R. - Già i gruppi che si erano radicati 10, 15 anni fa in Algeria, avevano, due anni fa, deciso di darsi un’etichetta comune, quella di al Qaeda per il Maghreb. Diciamo che quindi non è una novità. E' la conferma però di una strategia, quella di legare la propria azione ad un’azione più universale che è quella di al Qaeda e del movimento che intende colpire in qualsiasi modo.

 
D. - Perché questi gruppi decidono di far riferimento ad al Qaeda in maniera del tutto autonoma, tra l’altro?

 
R. - Perché questi gruppi sono rimasti isolati tra di loro ed anche relativamente staccati ormai dalla popolazione. Il fatto di darsi un’etichetta comune naturalmente rafforza la loro azione, sia di propaganda sia, in prospettiva, nel creare alcuni legami organici. Però, per quel che riguarda i gruppi in Algeria, bisogna tener presente che ce ne sono di particolarmente pericolosi proprio perché radicati già da molti anni nel Paese.

 
D. - Che pericoli ci sono che questo terrorismo arrivi in Europa?

 
R. - E’ chiaro che esistono già da molti anni dei rapporti organici con delle cellule che sappiamo essere presenti in Europa e soprattutto nei Paesi del Bacino del Mediterraneo. E’ vero che, diciamo, la politica di sicurezza, inaugurata da questi Paesi negli ultimi anni, rende questi collegamenti estremamente difficili. Ma è naturale pensare che questi gruppi abbiano come obiettivo quello di creare una rete di collegamento sempre più stretto tra di loro.

 
Italia: immigrazione
Proseguono i drammatici viaggi della speranza verso Lampedusa. Solo questa mattina, sull’isola sono sbarcati 349 immigrati mentre la Guardia costiera ha già avvistato un’altra imbarcazione con 90 clandestini. Questi si aggiungono agli oltre 400 arrivati ieri. Sbarchi anche sulla costa jonica calabrese, dove oggi sono giunti trenta uomini di nazionalità egiziana. Per il punto sulla situazione a Lampedusa, al microfono di Linda Giannattasio parla la dottoressa Susàn Diku, dell’Istituto nazionale di medicina dell’immigrazione e della povertà, che in questo momento sta operando nel centro di prima accoglienza dell’isola:RealAudioMP3

R. - Noi siamo qui dall’11 di agosto e abbiamo trovato una situazione di emergenza. Negli ultimi tre giorni, però, gli sbarchi si sono fatti più frequenti, con punte di cinque sbarchi al giorno. Da ieri ad oggi, il numero dei presenti ha toccato punte molto alte. In questo momento siamo intorno a 1600 presenze. Nel centro abbiamo trovato diverse realtà che operano e la cosa importante da sottolineare è proprio la disponibilità e il senso di accoglienza che caratterizza tutti gli operatori, perchè il nostro incontro non è solo medico, ma anche di comunicazione.

 
D. - In che condizioni si trovano le persone che raggiungono Lampedusa?

 
R. - Alcune persone non sono nemmeno in condizioni di camminare e sono disidratate. E’ una situazione estrema di sofferenza. Tutto dipende dall’età, dalle storie che hanno alle spalle. Come arrivano al molo, subito c’è la distribuzione dell’acqua. Poi, i colleghi che fanno lo screening generale segnalano i casi da sostenere immediatamente qui nel centro. Appena qui, le persone vengono di nuovo reidratate con soluzione a base di sali minerali. E’ un luogo dove ognuno di noi dovrebbe passare, per capire la drammaticità di questo evento al quale nessuno può rimanere insensibile. (Panoramica internazionale cura di Marco Guerra)

 Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LII no. 235

 
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